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Recovery Fund mezzo per la nuova Europa, prof. Cuccia: “Tre differenze col passato”

Recovery Fund
Commissione Europea.
Lo strumento proposto dalla Commissione Europea rappresenta un primo passo verso un'UE più vicina e unita. La professoressa Tiziana Cuccia, docente presso il DEI dell'Università di Catania, spiega le novità rispetto al passato e i prossimi step per l'approvazione del Recovery Fund.

750 miliardi di fondi ai Paesi membri con il Recovery Fund, un bilancio dell’UE potenziato a 1.150 miliardi di euro per il 2021-2027 e, soprattutto, la garanzia che parte dei finanziamenti saranno a fondo perduto. La grande portata economica del piano presentato dalla Commissione europea il 27 maggio ha offuscato, almeno a livello del dibattito politico italiano, l’importanza del cambio di passo compiuto dagli organi europei.

Eppure, il Recovery Fund (significativamente ribattezzato “Next Generation EU”), così come gli altri strumenti contro la crisi adottati dall’UE finora, dimostrano un approccio che travolge la retorica semplicistica di un’Unione prepotente e attenta solo ai conti degli Stati Membri. Insomma, come si legge sul sito della Commissione, è il momento dell’Europa, è il momento di riparare e preparare la generazione del domani. Con la professoressa Tiziana Cuccia, docente di Politica economica presso il dipartimento di Economia e Impresa dell’Università di Catania, abbiamo provato a comprendere come questo avverrà e in cosa diverge il piano proposto a fine maggio rispetto agli strumenti adottati finora.

Recovery Fund: le differenze rispetto al passato

Non è indifferente che il piano per la ripresa dell’Europa sia stato denominato “Next Generation EU”. Come specifica la professoressa Cuccia, la denominazione ufficiale assieme ai tre pilastri su cui si fonda (“Investire in un’Europa verde, digitale e resiliente”), è rappresentativa delle strategie di crescita di lungo periodo. “Questa denominazione – spiega – si ricollega in modo più significativo anche al precedente programma, “Europa 2020”, finalizzato ad una “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”, ma tiene conto anche dei contraccolpi che lo shock esogeno della pandemia COVID-19, e le conseguenti decisioni di sospensione delle attività produttive, inevitabilmente genereranno”.

Cos’è cambiato, quindi, rispetto alle altre crisi? La docente di Politica economica sintetizza le novità in tre punti: l’approccio ideologico, la possibilità di creare una prima forma di Eurobond e di incrementare per la prima volta il bilancio UE.

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Innanzitutto, quindi, la reazione dell’Unione. “Un diverso approccio ideologico – dichiara la prof. Cuccia –, che si va diffondendo sia negli ambienti accademici che istituzionali, volto a reagire alle crisi economiche con politiche fiscali anti-cicliche, di investimenti pubblici, e non pro-cicliche, di contenimento della spesa pubblica, come purtroppo è avvenuto durante la crisi finanziaria del 2009-2011”.

In secondo luogo, le risorse stanziate. “Troppo spesso si sottolinea il volume (i “famosi” 750 miliardi di euro), o la ripartizione tra sovvenzioni o prestiti e non si pone l’accento sul grande passo che rappresenterebbe il canale di finanziamento di questo fondo – prosegue –. La Commissione UE sta già contraendo prestiti sui mercati finanziari per il fondo SURE (ne abbiamo parlato qui, ndr)”. Un vero e proprio investimento, anche in termini di reputazione e affidabilità.

“A seconda del criterio con cui i singoli Stati Membri parteciperanno al rimborso di questi fondi raccolti sui mercati, si potrebbe trattare di una prima forma di Eurobond […]. Infatti, se il rimborso del prestito contratto per finanziare il Recovery Fund, così come è stato annunciato, prescindesse dalla percentuale utilizzata dai singoli Stati Membri, avremmo una prima forma di mutualizzazione del debito, cioè, per la prima volta, al prestito farebbero da garanti tutti gli Stati Membri e al rimborso del debito che è servito a finanziare con prestiti o con sovvenzioni gli Stati che ne hanno avuto più bisogno, parteciperebbero tutti gli Stati Membri”.

Infine, il Recovery Fund rappresenta il primo tentativo di incrementare il bilancio UE, a oggi solo l’1% del PIL. “L’obiettivo della Commissione è aumentare le entrate del bilancio UE, non solo attraverso il ricorso al mercato come nel caso del SURE e del Recovery Fund, ma anche attraverso entrate fiscali generate dalle emissioni di permessi negoziabili in ambito ambientale e dalla digital tax applicata alle grandi multinazionali del digitale (Amazon, Google, Facebook, Apple). L’idea di fondo è dotare la Commissione UE di uno strumento di politica fiscale, un bilancio comune, in grado di coadiuvare le politiche monetarie della BCE. Ovviamente, il processo di integrazione economica, politica e monetaria europea procede sempre a piccoli passi, ma il segnale è esattamente in quella direzione”.

Gli ostacoli per l’approvazione del Recovery Fund

Il 19 giugno l’incontro virtuale del Consiglio Europeo tra i capi di Stato si è risolto in un nulla di fatto, spostando l’appuntamento per il via libera al Recovery Fund a metà luglio. Accanto al piano per la ripresa, però, l’UE ha di fronte diversi appuntamenti importanti. Primo tra tutti, l’approvazione del Quadro Finanziario Pluriennale (QFP 2021-27). “La redazione del bilancio pluriennale della Commissione – spiega la prof. Cuccia –, che deve essere approvato all’unanimità dal Consiglio Europeo, presentava già un grosso nodo da sciogliere: l’uscita del Regno Unito dall’UE, Paese contribuente netto, rende necessaria una ridefinizione delle quote che i singoli Stati Membri devono conferire che, ovviamente, dovrebbero aumentare se non si vuole ridurre il già limitato volume di risorse a disposizione della Commissione”.

Al problema di scegliere chi deve contribuire di più, si aggiunge il fatto che sia i Frugal Four (Paesi Bassi, Austria, Svezia e Danimarca), sia il gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) si oppongono a una quota maggiore di contributi. “Bisognerebbe porre attenzione a che cosa sta succedendo su questo fronte dei conferimenti in bilancio da parte dei singoli Stati Membri – aggiunge la docente – perché quando parliamo delle risorse che l’Italia dovrebbe ricevere tramite il Recovery Fund (sempre che venga approvato nella dimensione proposta o non subisca un ridimensionamento), queste risorse sono al lordo di quelle che dovremo versare per contribuire, come abbiamo sempre fatto, al bilancio europeo”.  

A luglio, poi, la Germania inizierà il proprio semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione Europea (diverso dal Consiglio Europeo). Con la Merkel intenzionata a ritirarsi lasciando il segno e i buoni rapporti che corrono tra la cancelliera e la presidente della Commissione Von der Lyden, ci sono i presupposti per la definitiva approvazione del piano. “Insomma – conclude la docente –, la Germania potrebbe volersi fregiare del risultato raggiunto e sicuramente la leadership di Angela Merkel può esercitare un notevole peso politico sia nei confronti dei paesi frugali che del gruppo di Visegrad.  

Ultima notazione. Fino ad ora le riunioni si sono svolte per teleconferenza; probabilmente, non è il modo più efficace per giungere ad un accordo. Il prossimo Consiglio Europeo avrà luogo di presenza e, seguendo la tabella di marcia per l’approvazione del Quadro Finanziario Pluriennale pubblicata nei documenti ufficiali europei, il raggiungimento di un accordo entro luglio è perfettamente in linea con l’approvazione del QFP entro la fine dell’anno”.

Tuttavia, malgrado l’approvazione del Recovery Fund sia nell’interesse di tutti, in Europa va in scena ancora una volta il conflitto tra gli interessi nazionali, con alcuni capi di governo che guardano già alle elezioni più vicine (vedi i Paesi Bassi), e quelli comuni. La ragione è da ricondurre anche al maggiore potere decisionale che hanno gli organi intergovernativi (Consiglio Europeo e Consiglio dell’Unione Europea) rispetto agli organi sovranazionali (Commissione e parlamento).

Ciascuno Stato Membro cerca di giocarsi le proprie carte – spiega la prof. Cuccia -. In realtà, nel caso del Recovery Fund la distribuzione delle risorse, sulla base dei danni arrecati dalla pandemia, potrebbe privilegiare Stati Membri “ricchi” soprattutto rispetto ai paesi del gruppo di Visegrad. Ritengo però che alla fine le resistenze mostrate dai Frugal Four e dal gruppo di Visegrad siano finalizzate, nel caso dei Frugal Four, ad avere un trattamento privilegiato nella quota da conferire in bilancio e, nel caso del gruppo di Visegrad, ad avere un trattamento privilegiato nella allocazione dei fondi strutturali per le politiche di coesione”.

Dai fondi per la ricostruzione una nuova Europa?

Finora l’Europa ha dato risposte straordinarie a una crisi straordinaria, nel senso etimologico del termine. Tuttavia, da esperimenti come il piano SURE e il Recovery Fund, strumenti temporanei di condivisione del rischio di debito contratto sui mercati, potrebbero nascere nuove soluzioni.

“Come è già capitato in passato – conclude la docente –, nei momenti di crisi le istituzioni europee trovano sempre un modo per reagire e andare avanti. Come dalla crisi del 2011 è nata l’unione bancaria per evitare il ripetersi di crisi bancarie che diventano crisi del debito sovrano, così dalla pandemia legata al COVID-19, possono svilupparsi strumenti comuni di indebitamento che rafforzano il coordinamento delle politiche fiscali, già avviato nel 2010 con l’istituzione del semestre europeo, che ci avvicinano a quell’unione fiscale, che rappresenta un imprescindibile completamento dell’unione monetaria, anzi, secondo molti avrebbe addirittura dovuto precederla”.

A proposito dell'autore

Domenico La Magna

Nato a Catania, classe '95, si è laureato in Filologia Moderna all'Università di Catania nel 2020 con una tesi su Calvino e l'editoria. Inizia a collaborare con LiveUnict da ottobre 2017. Appassionato di politica, segue con particolare attenzione i temi riguardanti l’Unione Europea e l’ambiente. Frequenta il Master di 2° Livello in Professione Editoria all'Università Cattolica di Milano.