A Catania ci sono tre macchine ogni quattro abitanti e i livelli di differenziata sono bassissimi. Sono solo alcuni dei fattori che fanno precipitare la città in fondo alla classifica di Legambiente e Ambiente Italia.
Catania sale nella classifica del rapporto “Ecosistema urbano”, stilata ogni anno da Legambiente in collaborazione con Ambiente Italia per misurare le performance ambientali delle città. Ma non per meriti propri. Anzi, in termini di punteggio (27,48/100) riesce a fare peggio dell’anno scorso (28,56/100), quando occupava l’ultima posizione della classifica, davanti solo alle non valutate Siracusa e Vibo Valentia. Tra tutti i capoluoghi italiani, la città etnea occupa la 101esima posizione; quart’ultima, seguita da Pescara, Palermo e Vibo Valentia.
La classifica del rapporto “Ecosistema urbano” non valuta, in termini astratti, la “qualità della vita”, ma si basa su aree tematiche concrete. Aria, acqua, rifiuti, mobilità, ambiente urbano ed energia. Fattori che il cittadino può valutare sulla propria pelle ogni giorno, ma che in Sicilia non godono della meritata attenzione, come dimostra il fatto che, tra le ultime sette città della lista di Legambiente, cinque sono siciliane. Il caso di Catania è emblematico: il punteggio la colloca ad anni luce di ritardo non solo da modelli degni di emulazione in tutta Italia, come Trento, che anche quest’anno domina la classifica, ma anche da altre città siciliane, quali Agrigento, che doppia il punteggio del capoluogo etneo e conquista la 50esima posizione.
Siamo abituati a pensare che l’acqua sia un bene essenziale, e per questo la diamo per scontata, ma non si tratta di una risorsa inesauribile. Una delle prime criticità emerse dal rapporto Legambiente riguarda la dispersione d’acqua nella rete idrica, vale a dire la percentuale che viene dispersa prima di arrivare al rubinetto.
In generale, in Italia oltre un terzo dell’acqua potabile si perde prima che possa essere utilizzata. Uno spreco che avviene soprattutto nell’uso domestico, a causa di una rete idrica vecchia e con scarsa manutenzione. Il 60% delle infrastrutture è stato messo in posa oltre 30 anni fa, mentre il 25% di queste ha più di mezzo secolo di vita, stando al rapporto.
Catania, come tutti i capoluoghi di provincia siciliani, si colloca nell’ultima fascia, con una percentuale di dispersione idrica superiore al 35%. Dal rapporto Istat 2019, che diffonde dati relativi al 2015, si scopre che in Sicilia più della metà d’acqua viene persa prima di arrivare a destinazione. A Catania, questa percentuale è pari al 45,5%. Un po’ meglio Palermo, dove la percentuale raggiunge “solo” il 39%. A questo spreco si aggiungono i problemi con gli impianti di depurazione. La popolazione servita da rete fognaria delle acque reflue urbane a Catania è pari al 56% (ISTAT 2018), poco più della metà, contro oltre il 90% della maggior parte delle grandi città italiane.
Se guidando per Catania sembra sempre più difficile trovare parcheggio, non c’è di che stupirsi. Nel capoluogo etneo ci sono mediamente circa tre macchine ogni quattro abitanti. Il quarto, probabilmente, attende ancora di fare 18 anni per mettersi alla guida. In quella che alcuni hanno soprannominato, non a torto, “Car-tania”, circolano 733 auto ogni 1000 abitanti, una percentuale superiore a quella di qualsiasi altro grande comune. E per distacco. Basti pensare che il secondo capoluogo in questa poco invidiabile classifica, Catanzaro, registra “solo” 659 macchine per 1000 abitanti.
Con questi numeri, anche la solita scusa che Catania è costruita su un vulcano non può bastare. La situazione potrebbe cambiare, però, nei prossimi due anni. Quest’estate, il Comune ha annunciato un piano di reti ciclabili urbane di 40 km, da realizzarsi in 24 mesi (al momento le piste ciclabili, tutte scollegate tra loro, occupano una superficie pari a 11,3 km). I fondi a disposizione sono poco più di 8 milioni di euro dei fondi UE dedicati all’Agenda Urbana e mirano a realizzare delle corsie per ciclisti nelle direttrici principali della città, ammodernando inoltre quelle già esistenti.
In attesa e nella speranza che vengano mantenute le promesse dall’amministrazione, Catania paga cari i suoi ritardi sulla mobilità. I dati su polveri sottili (PM10 e PM2,5), biossido di Azoto (NO2) e Ozono (O3) bocciano la città, valutata come insufficiente per aver superato in almeno due dei parametri i massimali fissati dall’UE, che eppure sono meno stringenti di quelli dell’OMS. Tra le tre città meno soffocate dallo smog, invece, spicca il nome di Agrigento, premiata per la qualità dell’aria.
L’esempio girgentino, però, non va per la maggiore in Italia. Gli italiani pagano in media 1.400 euro l’anno a causa degli impatti diretti e indiretti della pessima qualità dell’aria nelle città. Una tassa occulta a cui si aggiunge la condanna della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, arrivata pochi giorni fa, per aver superato “in maniera sistematica e continuata tra il 2008 e il 2017” i valori limiti applicabili alle polveri sottili.
La percentuale di raccolta differenziata in Italia è abbastanza alta: il 58,1%. Anche in Sicilia, i comuni virtuosi non mancano, malgrado si tratti spesso di piccoli centri. Fa eccezione, nell’Isola, il comune di Ragusa, che tramite un servizio di raccolta “porta a porta” è passato dal 18,14% del 2017 (dati Ispra) al 71,1% nel 2019, percentuale ulteriormente migliorata nel primo semestre del 2020.
Il caso del capoluogo ibleo, però, è isolato in Sicilia. La differenziata nelle tre città metropolitane di Catania, Palermo e Messina, cui si aggiunge Siracusa, non raggiunge nemmeno gli obiettivi risalenti a ormai 14 anni fa. Nel 2006, infatti, si chiedeva ai territori di raggiungere almeno il 35% di raccolta differenziata. L’obiettivo è stato aggiornato nel 2012, quando è stato fissato al 65%. Rispetto ad allora, le città metropolitane siciliane sono ancora rimaste al rigore di Grosso.
Se la situazione rifiuti in Sicilia è grave, le cose a Catania vanno anche peggio. In media, stando ai dati del rapporto Ecosistema Urbano, ogni cittadino del comune etneo produce 733 kg di rifiuti l’anno. Un numero altissimo, inferiore soltanto a Piacenza, Ravenna e Rimini, che però hanno percentuali di differenziata superiori al 60%. Nel comune etneo, invece, la percentuale di raccolta differenziata sul totale dei rifiuti prodotti è del 7,7%. Si tratta del valore più basso tra i capoluoghi italiani, l’unico a una cifra. Vuol dire che in media vengono differenziati circa 56 kg di rifiuti per abitante. Gli altri 677, invece, finiscono in discarica. Un sistema che rischia di esplodere ogni anno e che viene periodicamente “disinnescato” a colpi di interventi speciali e straordinari, a cui tutti si sono abituati ma il cui costo non può passare inosservato.
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