La pandemia ha cambiato la radicalmente visione del mondo, rendendola diversa e più complessa sotto ogni punto di vista. Se cambia la percezione del mondo, la lingua lo fa di conseguenza: le novità, dal punto di vista linguistico, sono state perciò significative, con l’introduzione di nuovi termini che sono entrati a far parte della nostra quotidianità.
In questi ultimi mesi, non si è fatto altro che ascoltare telegiornali e radio, leggere giornali per tenersi informati sulla situazione pandemica in Italia e all’estero. Un nuovo linguaggio ha preso rapidamente forma ed è diventato di uso comune. Le parole con maggiore risonanza mediatica sono diventate: “cluster”, “smartworking”, “lockdown”, “tracing”, queste tra le più utilizzate.
Si osserva, pertanto, un’introduzione di alcuni termini anglossasoni nella lingua italiana per fare riferimento alle novità sociali introdotte dalla pandemia di COVID-19. Ma qual è il ruolo della lingua italiana in questo processo di novità linguistica?
La risposta dell’Accademia della Crusca
L’Accademia della Crusca, in merito all’invasione di termini anglosassoni, ha lanciato un allarme: la lingua italiana è in pericolo.
“Va fermata l’imbarazzante epidemia di parole straniere, quasi tutte inglesi, che ci sommerge – ha affermato il presidente della Crusca Claudio Marazzini –. Spesso dietro il ricorso a una parola inglese si nasconde il nulla. Bisogna imparare a usare sempre il corrispettivo italiano se questo esiste nel nostro vocabolario.”
Con questo non si vuol dire che la lingua italiana non debba evolversi o che l’introduzione dei termini inglesi sia da eliminare o da condannare, tutto il contrario: bisognerebbe accettare di utilizzare il termine italiano esistente per la categoria di mondo designata dal termine inglese. Significa, dunque, preservare la bellezza della lingua italiana tentando di non essere sovrastati dalla parola di stampo anglossasone, perché più alla moda.
Esiste, inoltre, una nazione europea in cui la pandemia da COVID-19 ha dato prova di resistenza per quanto riguarda l’aspetto lingustico: la Francia.
La lingua francese: un caso di resistenza
Se da una parte la lingua italiana si è impregnata di termini inglesi, sia nei media, sia nel linguaggio quotidiano, i francesi preferiscono garder leur langue (mantenere la loro lingua).
Provando a fare una ricerca dei principali quotidiani e settimanali francesi, si nota come vi sia l’introduzione di nuove parole che arricchiscono il panorama della lingua francese: “télétravail”, “confinement”, “déconfinement”, “infodémie”.
Ciò che salta subito all’occhio è che al posto di utilizzare il famigerato “lockdown” dei media italiani, i francesi preferiscono “confinement”. I francesi non fanno “smartworking”, ma optano per un autoctono “télétravail”.
Alla luce di questo esempio, si potrebbe allora, forse, optare per una difesa maggiore della lingua italiana, laddove possibile?