Scuola

Maturità 2020, docente siciliano scrive ad Azzolina: “La scuola non è un esamificio”

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Maturità 2020: lo sfogo di un insegnante messinese sulle modalità di svolgimento degli esami di quest'anno e sulle tensioni che potrebbero suscitare stress psicofisico tra il corpo docenti e alunni.

Fabio Bonasera, professore di diritto di un istituto tecnico di Sant’Agata di Militello, ha deciso di scrivere alla Ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, criticando apertamente le posizioni prese dal governo centrale sulla gestione dell’emergenza nell’ambito della scuola. Il docente sferra una critica alle modalità di svolgimento e degli esami di maturità 2020 e alle griglie di valutazione finali, ma anche al clima che si respira nelle le aule virtuali da docenti e studenti. Il prof. accusa infatti il governo di essere la causa di crisi psicologiche, che studenti e professori hanno avuto durante il lockdown o potranno avere in sede d’esame.

L’esame di maturità 2020 è stato stravolto a causa delle norme di restrizione ancora in vigore. La prova scritta è stata sostituita da un elaborato con le materie d’indirizzo da consegnare online entro una settimana, le cui linee guide sono state date con poco tempo in anticipo, lasciando stupiti e impreparati anche gli insegnanti. La prova orale, invece, si terrà a scuola, evitando assembramenti e indossando gli strumenti di precauzione, come le mascherine.

Maturità 2020: la lettera del docente siciliano

Lucia Azzolina, sono un professore di diritto. Insegno in un istituto tecnico di Sant’Agata di Militello, in provincia di Messina. Le scrivo per rappresentarle lo sconforto che provo dinanzi alle risoluzioni da lei adottate, in qualità di ministra dell’istruzione, per l’imminente maturità, oltre che per le operazioni di scrutinio di fine anno. Secondo le sue disposizioni, in occasione degli esami di stato, pur essendo obbligati a svolgere la nostra professione in un clima di ansia e paura, noi docenti, all’ingresso a scuola, dovremmo firmare una dichiarazione nella quale asseriamo di non avere la febbre, né i sintomi, di non essere stati in quarantena, né di essere stati a contatto con soggetti positivi negli ultimi 14 giorni.

Dovremmo ancora indossare le mascherine, ininterrottamente, per non meno di cinque o sei ore, con i gravi rischi che ciò comporta per la nostra salute. Senza sottovalutare il regime da ambulatorio medico imposto ai candidati, che potranno presentarsi non prima dei 15 minuti precedenti l’esame, con un solo accompagnatore, e che dovranno volatilizzarsi all’istante, una volta conclusa la prova. E lei questa la chiama scuola? Questi li chiama esami di stato? Svolti in un’atmosfera da ‘disaster movie’ di cui non si comprendono il motivo e l’utilità.

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È già sbagliato stabilire ufficialmente le regole del gioco il 16 maggio, appena un mese prima degli esami. È altrettanto sbagliato distogliere i docenti dalla loro missione, la didattica, l’insegnamento, per sommergerli di moduli e scartoffie somministrati con tempistiche indegne perfino di una pubblica amministrazione inefficiente. Mentre è solo un incubo, che coincide con il colpo di grazia all’istruzione e al suo significato. Sbagliato, ancora, è impartire le istruzioni su come svolgere gli adempimenti poco prima della scadenza.

Perché, vede, le alternative erano due. E molto semplici. O l’emergenza è finita e, allora, è possibile svolgere gli esami di stato in presenza, in totale sicurezza e fiducia. O non lo è e, allora, chi rappresenta le istituzioni ha il sacro dovere di evitare simili pantomime, con conseguenti rischi, anche di natura psicologica, per lavoratori e studenti. Tertium non datur. E siccome il ministero della salute e l’Istituto superiore di sanità dicono che esistono ancora dei focolai in quasi tutta Italia. Siccome l’Organizzazione mondiale della sanità, che a Roma gode di grande credito malgrado le tante cantonate prese, non fa altro che ammonire sui rischi di un’emergenza che ritiene tutt’altro che archiviata, mi dica lei cosa dovremmo pensare noi comuni mortali. Lucia Azzolina, non si alimenta un clima di terrore perenne per poi contraddirsi nei fatti e tirare fuori dal cilindro un esame di stato in presenza con prescrizioni da reparto malattie infettive. Ci vuole coerenza. Ci vuole chiarezza.

[…] Lei è una docente e mi meraviglia apprendere che questa è la sua concezione di scuola. Un esamificio, nel migliore dei casi, nel quale, a dispetto delle reali esigenze dei nostri ragazzi, mandare in scena a tutti i costi un’esibizione pubblica di efficientismo. Un lager, o un laboratorio di esperimenti sociologici ed epidemiologici, nel peggiore. […] Trascurando che, se è prevista un’indennità per i parlamentari, è proprio per compensare eventuali rinunce fatte a causa del ruolo istituzionale. Ruolo liberamente scelto e non certo ordinato dal medico.

[…] Quel che so è che, oggi, lei ha una grande opportunità: quella di fare la cosa giusta. Di fare il bene di persone, spesso non più giovani, i docenti italiani, che tra pochi giorni dovranno sottoporsi a uno stress psico – fisico inaccettabile in una società ritenuta civile. Di fare il bene degli studenti, affinché non abbiano come ultimo ricordo della scuola quello di un laboratorio di esami clinici gestito in tempo di guerra, ma quello di un luogo di apprendimento, di arricchimento, di partecipazione, di gioia, di crescita, di condivisione. Un luogo di cultura. Quel che so è che, oggi, lei ha questa grande opportunità. E la sta gettando letteralmente alle ortiche”.