Quando Netflix Italia annuncia il reinserimento in catalogo di Boris tra le novità di maggio le reazioni sono due. I fan vanno in delirio, chi non l’ha mai sentita nominare si chiede perché i primi siano così entusiasti. Poi domanda a chi l’ha vista, guarda i primi episodi. E capisce. A dieci anni dalla sua conclusione, Boris rimane tra le serie TV italiane più riuscite e amate degli italiani. Un successo che, come tutti i classici, non scema col passare del tempo ma si consolida e rimane attuale.
Merito, soprattutto, del soggetto. Un’assortita troupe guidata dal regista René Ferretti (Francesco Pannofino) è impegnata nella realizzazione della fiction Gli occhi del cuore. Quest’ultima rappresenta un classico prodotto nostrano, in cui tutti, almeno una volta, si sono imbattuti facendo zapping. Vale a dire quelle serie girate con pochi fondi e ancora meno idee, di cui Boris si fa beffe con un’ironia cinica ed esilarante che dagli studi televisivi in cui è ambientata prende le mosse per ridicolizzare l’intero universo della televisione italiana, con le sue raccomandazioni e il suo assoluto immobilismo. “Perché a noi la qualità c’ha rotto il cazzo! Perché un’altra televisione è impossibile!”, dirà René in uno dei suoi sfoghi. Proprio ciò che la serie, invece, smentisce a ogni episodio.
La troupe è un calderone in cui c’è un po’ di tutto. Gli stagisti bullizzati e sfruttati; l’attore egocentrico; la protagonista bella ma che recita come una “cagna”; la moglie “intoccabile” del Senatore della Repubblica. Tra loro c’è anche l’attore Ninni Bruschetta, originario di Messina, che in Boris interpreta Duccio, il direttore della fotografia cocainomane e amico stretto di René.
“Un vero successo, di solito, nasce da una congiuntura favorevole, in cui si incrociano diversi fattori. D’altro canto nessuno può programmare un successo, nessuno ha la ricetta”, afferma in un primo momento l’attore, con cui LiveUnict ha provato a scoprire gli ingredienti che hanno contribuito al successo della serie. “Boris è nato da un’idea semplice, ma classica – prosegue Bruschetta –, battuta da i più grandi maestri del cinema, da Billy Wilder a Fassbinder a Wenders ecc. ecc., cioè il dietro le quinte, lo svelamento della fabbrica dei sogni. Quest’idea è stata sviluppata da tre geni della scrittura (Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo), con una vena ironica straordinaria, con un produttore che ha collaborato al progetto fin dalla nascita (Lorenzo Mieli) e un direttore di rete (Fox) attento e intelligente come Fabrizio Salini, oggi amministratore delegato della Rai.
Gli attori sono stati scelti oculatamente con molti provini, solo in base alla qualità e alla loro adesione al personaggio. Evitando operazioni di facciata e scelte “commerciali”. E così via. In poche parole, Boris è un progetto fatto come si deve, senza secondi fini, senza scorciatoie e illusorie ambizioni. Guarda caso è diventato un successo!”.
In effetti, Boris è diventata quasi una serie-culto tra i giovani. Lo testimoniano non solo la popolarità che ha sul web, ma anche le continue citazioni delle battute più celebri, entrate ormai nella conversazione quotidiana. Specie nell’ultimo mese, la metà dei meme e delle parodie in circolazione su Facebook ha avuto per tema Boris. Protagonista ne è stato lo stesso Duccio-Ninni, agli inizi della Fase 2. Chi, tra i fan, non ha immaginato o almeno sperato di sentire Conte esclamare, durante una delle decine di conferenze stampa, la frase: “Adesso è tornato il tempo di aprire tutto!”, marchio di fabbrica della fotografia di Duccio e frase da lui stesso pronunciata con enfasi in una delle scene più belle della serie?
“Non è una cosa che si possa spiegare razionalmente – dichiara l’attore a proposito della serie TV tornata a spopolare -. È una magia. Una cosa bellissima per noi, che rende merito al lavoro che abbiamo fatto. Certamente però il cuore di Boris è il copione. Gli scrittori, che ho citato prima, hanno una sensibilità raffinata ma altamente popolare. Hanno creato un linguaggio universale, toccando temi attualissimi ma usando la comicità per scavare in tutte le nostre miserie e persino nel dolore e nel disagio sociale. È normale che i giovani si appassionino a questo, perché i giovani sono più intelligenti, vitali, lungimiranti e sanno ridere anche di se stessi”.
Boris 4: un ritorno impossibile?
Al di là del personaggio di Duccio e ai ruoli televisivi, la carriera di Bruschetta spazia dal cinema al teatro. Eppure, quando si tratta di scegliere tra tutti i progetti in cui è stato coinvolto, non ha dubbi. “Ultimamente mi hanno chiesto se Boris fosse la cosa più importante che ho fatto nella mia carriera. Io ho risposto immediatamente sì – confessa –. E poi ho aggiunto: perché è un progetto che non ho ideato io ma in cui mi sono ritrovato integralmente, che ho condiviso integralmente. Non è stato solo il successo numerico, ma soprattutto il successo politico di quest’opera a restituire, a tutti quelli che l’hanno fatta e a gran parte di quelli che l’hanno vista, un senso di appartenenza, uno spirito critico, di cui c’è molto bisogno in Italia“.
Anche per questo c’è chi chiede adesso un continuo della fuori serie italiana, specie tra quelli che hanno scoperto Boris solo di recente. Una suggestione che aveva prospettato lo stesso Pannofino in un’intervista a Fanpage di due anni fa, ma su cui sembra essere calato il sipario.
“Inizialmente io trovai perfetta la conclusione dopo le tre stagioni e il film. Era un percorso compiuto e senza macchia – conclude Bruschetta -. Troppo rischioso insistere. Continuammo tutti a lavorare in varie direzioni, poi io mi ritrovai due volte con Mattia Torre, per uno spettacolo teatrale e una seconda serie (La linea verticale). Intanto il successo di Boris cresceva così tanto che si cominciava a parlare di un possibile ritorno. Poi, l’estate scorsa, la malattia che Mattia Torre aveva sconfitto e a cui aveva dedicato una delle sue ultime opere, se l’è portato via giovanissimo. In questo momento nessuno di noi ha il coraggio di parlare di una nuova serie”.