In questi giorni la popolazione italiana è in preda al panico, la comparsa di casi italiani di COVID-19 ha attivato, insieme alle necessarie misure di prudenza e prevenzione, un’infodemia di massa.
Il professor Giuseppe Anzera, docente di giornalismo internazionale e sociologia delle relazioni internazionali presso il dipartimento di comunicazione e ricerca sociale dell’Università “La Sapienza” di Roma ci parla del fenomeno legato all’infodemia, analizzando la situazione attuale legata alla comunicazione d’emergenza italiana.
Infodemia: cosa è e perché oggi possiamo parlarne?
“L’infodemia è una condizione connessa alla diffusione rapida, imprecisa e incompleta di informazioni su un evento emergenziale che finiscono per amplificare l’effetto dell’evento stesso. Il termine compare nel 2007 in un rapporto del World Economic Forum ‘Global Risks 2007. A Global Risk Network Report’. Non va confuso col ‘disastro comunicativo’ nelle situazioni di emergenza, che corrisponde all’assenza di comunicazione da parte delle fonti istituzionali con un conseguente tentativo da parte dei media di colmare, spesso impropriamente, il vuoto informativo creatosi (ad es. è ciò che è avvenuto nel caso del disastro di Chernobyl).
Nel sistema mediale ibrido contemporaneo, la compresenza di old e new media finisce per amplificare questo tipo di dinamiche con i media mainstream che a volte inseguono e a volte amplificano i flussi comunicativi che si muovono rapidamente sulle piattaforme online. Dal punto di vista delle istituzioni, questo processo rende ancora più complessa la comunicazione di emergenza e la gestione dei rumours e delle fake news.
I canali ufficiali di comunicazione (Ministero della Salute, OMS ecc.) sono stati tempestivi nell’inserirsi nel flusso di comunicazione?
Ho monitorato la comunicazione di OMS e Ctd di Atlanta fin dall’inizio della crisi e sono stati molto efficaci e rapidi nel produrre e generare informazioni sulla malattia, situation reports quotidiani, consigli e raccomandazioni. Il problema è l’inserimento nei flussi di comunicazione che è stato insufficiente. I grandi network e i giornali più importanti hanno riportato le notizie provenienti da Oms solo quando i comunicati alzavano il livello di allarme, ma raramente hanno usato queste fonti per migliorare la loro comunicazione quotidiana.
Ma questo è un problema ciclico che riguarda le grandi istituzioni internazionali che si occupano di emergenza. Per la loro stessa natura sono molto efficaci nel produrre informazioni, ma non riescono a imporsi come fonte primaria della comunicazione emergenziale se non in modo sporadico. I media si rivolgono prevalentemente a fonti e istituzioni nazionali e regionali perché più facili da raggiungere e più disponibili a cercare le telecamere (ovviamente lo fanno anche perché è loro dovere attivare i protocolli di comunicazione di emergenza). In Italia, alcune regioni hanno comunicato efficacemente soprattutto impiegando lo strumento televisivo (particolarmente adatto a una platea di anziani peraltro i più a rischio). Il Ministero della Sanità è riuscito efficacemente a far passare il suo Decalogo ormai condiviso su tutti i siti istituzionali e dai media online e offline. Inoltre quotidianamente figure di spicco del corpo medico rilasciano interviste tendenzialmente senza grosse contraddizioni.
Rispetto alla crisi della Sars di quasi venti anni fa non ci troviamo di fronte alla standardizzazione comunicativa di buon livello, raggiunta in quel periodo dal Ministero della Sanità, a causa della rapidissima diffusione del virus. In generale la comunicazione di emergenza in Italia incontra ancora il problema della scarsa standardizzazione interistituzionale, mentre ci sono delle buone capacità di gestione comunicativa in alcuni singoli dipartimenti. Certamente la crisi del Coronavirus presenta difficoltà notevoli, sul piano della comunicazione di emergenza, perché non riguarda una emergenza localizzata (anche se potenzialmente devastante come un terremoto), ma una problematica diffusa sull’intero contesto nazionale. Va risolto un certo dualismo che si sta creando, in questa prima fase, nei processi comunicativi e nelle decisioni per combattere la crisi, da parte delle fonti politiche nazionali e da quelle regionali.
La diffusione in tempo reale data dai media a nostra disposizione quanto ha influito sulla circolazione di notizie false?
Come ormai dimostrato da una buona letteratura scientifica, le fake news, per una lunga serie di ragioni troppo complesse da riepilogare ora, si diffondono più rapidamente delle notizie ‘normali’. Il problema non è la diffusione in tempo reale delle informazioni, o la presenza delle nuove forme digitali di comunicazione, ma la capacità o meno di rispondere efficacemente da parte delle istituzioni.
La comunicazione istituzionale di emergenza, nel contrasto alle fake news, deve essere molto aggressiva se si vuole tentare di governare, almeno relativamente, un ambiente mediale complesso come quello contemporaneo. Il presidio mediatico deve essere formidabile, senza lasciare spazi temporali vuoti, le istituzioni devono soddisfare tutte le esigenze informative dei grandi media; le informazioni vanno diffuse correttamente, chiaramente e i rumours vanno affrontati e sminuiti con grande tempestività ed efficacia. Nel caso italiano, inoltre, bisogna considerare la fiducia relativamente bassa dei cittadini nei confronti dei soggetti politici di livello nazionale che porta alcune frange della cittadinanza a non seguire le richieste e i suggerimenti provenienti da questa fonte.
Quanto i canali autorevoli di informazione (grandi testate giornalistiche) stanno giocando sul panico per i click?
Più che clickbait le grandi testate giornalistiche mi pare siano in preda al terrore da mancata piena copertura della notizia; la minaccia del Coronavirus, in questo primo periodo, non è tuttavia conosciuta in modo adeguato. Questo porta a una sorta di ricerca spasmodica di presentazione della notizia da parte dei media, che finisce per saturare il flusso comunicativo innescando un continuo rimbalzo tra la fame di informazioni del pubblico e il tentativo di generare un frame stabile per definire il fenomeno da parte dei media. Poi va detto che non sono mancati, in queste prime settimane, alcuni tentativi, da parte di testate relativamente poco importanti, di sfruttare il panico da click.
Come informarsi correttamente per evitare l’infodemia? Quali strumenti abbiamo a disposizione per difenderci?
La ricetta è sempre la stessa che riguarda la lotta alle fake news: una media literacy sempre più elevata; ma è un rimedio che può essere efficace solo nel medio periodo, formando soggetti capaci di identificare per conto proprio le possibili notizie fasulle, calmare la sete di informazione rivolgendosi alle fonti più efficaci sul piano professionale e scientifico, evitare di inseguire spasmodicamente quanto rimbalza nelle echo chambers delle piattaforme online. Per questo serve tempo. Nel frattempo la prima linea di difesa contro l’infodemia dovrebbe provenire dalle istituzioni con una comunicazione d’emergenza efficace e in grado di soddisfare le esigenze degli attori mediatici.