Concorsi truccati a Catania: ricercatore escluso scrive a Mattarella

Un ricercatore di Catania scrive al Presidente Mattarella per raccontare la sua storia e chiedere giustizia in quanto vittima dei concorsi truccati dell'Ateneo.

Un ricercatore dell’Università di Catania, Giambattista Scirè, scrive una lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per raccontare la sua storia. Vittima di concorsi truccati, Scirè scrive al Presidente per chiedere giustizia.

“Illustrissimo Presidente, mi chiamo Giambattista Scirè, sono siciliano come lei ed ho 44 anni. Avrei dovuto essere un ricercatore e docente universitario se in questo Paese l’Università rispettasse le leggi e premiasse il merito. Sono invece oggi, purtroppo, senza lavoro. Ecco la ragione per cui le scrivo. Otto anni fa, nel 2012, denunciai un concorso irregolare bandito dall’Università di Catania per un posto di ricercatore in Storia contemporanea nella sede di Lingue di Ragusa. Ben tre sentenze del giudice amministrativo (due del Tar Catania e una del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, l’omologo del Consiglio di Stato) e una sentenza del giudice penale – che ha condannato per il reato di abuso di ufficio tre docenti – hanno stabilito, in forma ormai definitiva, che il vincitore reale di quel concorso ero io, e non già la persona che la commissione – con una decisione definita dai giudici “illogica e irrazionale e macroscopicamente falsa” – aveva dichiarato vincitrice: una studiosa laureata in architettura, con un curriculum incentrato su titoli totalmente incongrui al settore disciplinare del concorso bandito e non in possesso del titolo di dottore di ricerca, oggi obbligatorio per legge.

Le sentenze hanno disposto un risarcimento economico in mio favore, il riconoscimento del titolo e il reintegro in forma specifica, allertando la Corte dei Conti per ingente danno erariale, ed hanno riconosciuto il danno cagionato dai commissari, non solo materiale ma anche psicologico ed esistenziale, alla mia vita e alla mia carriera, – scrivono – ‘ipotecandone il futuro, obliterandone l’entusiasmo, rallentandone (o meglio si potrebbe dire bloccandone) il cammino professionale’. Ebbene, nonostante le decisioni dei giudici, la condanna della commissione, le ripetute diffide, le segnalazioni sulla stampa e in televisione, le tante interrogazioni parlamentari e gli appelli di personalità intellettuali e politiche, nonostante il corso di Storia Contemporanea nella sede di Ragusa sia tuttora in vita, non ho potuto ottenere il posto a tempo determinato che mi spettava (se non per soli 4 mesi sui 5 anni previsti) perché l’Ateneo, ad oggi, non ha mai provveduto a risarcire il danno più grave, quello inferto alla mia carriera accademica, attraverso la stipulazione di un contratto regolare o quanto meno la proroga dello stesso. Questo non lo sostengo io, o i miei avvocati, ma lo hanno sostenuto prima i giudici del Tar e del CGARS stigmatizzando il comportamento elusivo e omissivo dell’Università, poi i giudici del Tribunale ordinario di Catania parlando di ‘collusione a più livelli’, infine, lo stesso ex ministro del Miur Lorenzo Fioramonti, che ha definito il mio caso ‘agghiacciante e simbolo dell’anti-meritocrazia universitaria’, prima di dimettersi.

In sostanza, lo sostengono tutti, eccetto i vari Rettori che si sono succeduti in questi anni all’Ateneo di Catania. Al di là delle singole dirette responsabilità della commissione di quel concorso – i due Rettori, l’ex pro-Rettore (all’epoca Direttore del Dipartimento dove è stato commesso il reato), legati alle tristi e vergognose vicende del mio caso, risultano coinvolti nell’inchiesta giudiziaria condotta dalla Procura di Catania e denominata “Università bandita”, che contesta loro i reati di turbata libertà del procedimento, corruzione, induzione indebita, falso ideologico e abuso di ufficio, per aver costituito una associazione illecita che consentiva loro di controllare i principali organi collegiali e di pilotare, predeterminare e mantenere il controllo sul reclutamento dell’Ateneo, sanzionando e isolando chi tentava di partecipare liberamene ai concorsi.

A tal proposito, qualche giorno fa ho avuto modo di leggere sui giornali una notizia che mi ha lasciato sgomento, come studioso ma soprattutto come cittadino di questo Paese: uno dei Direttori di Dipartimento, coinvolto – secondo la Procura – come partecipe e concorrente materiale all’associazione illecita di cui sopra, per aver indotto il rettore a promuovere la chiamata come docente di suo figlio e per aver, in concorso con il candidato vincitore, procurato ingiusto svantaggio e danno agli altri partecipanti al concorso, da lui definiti – come risulta dalle intercettazioni giudiziarie e come è stato pubblicato sulla stampa – ‘stronzi da schiacciare’, ha ricevuto dallo Stato, nella fattispecie dalla Regione Siciliana, un premio, un incarico per 12 mila euro di fondi pubblici conferitogli dal Presidente Musumeci, per uno studio accademico, in virtù della “professionalità del soggetto incaricato”.

Tutto ciò, però, senza menzionare in alcun modo i reati per cui è imputato né il linguaggio dallo stesso utilizzato nelle sue funzioni di Direttore di Dipartimento, che fa letteralmente vergognare, purtroppo, di appartenere alla categoria dei docenti universitari, quando invece esistono all’Università tanti docenti corretti, onesti, esempi di eccellenza e serietà. In sintesi: chi ha coraggiosamente denunciato un concorso irregolare ed ha avuto ragione e soddisfazione dalle sentenze amministrative e penali di ogni ordine e grado, è stato messo fuori dall’Università, isolato, emarginato, sottoposto ad abusi e ritorsioni, mentre chi ha predeterminato e pilotato un concorso, recando ingiusto svantaggio a tanti colleghi – secondo quanto sostiene la Procura – riceva addirittura un premio.

Per questa ragione, nonostante il totale isolamento posto in atto nei miei confronti dall’Università, sentendomi di far ancora parte idealmente della comunità accademica – quella virtuosa e meritevole di stima, non quella di chi commette irregolarità e abusi nei concorsi -, mi rivolgo a Lei, emblema di giustizia e simbolo di moralità sancite a chiare lettere nella Costituzione italiana, e Le chiedo di voler spendere una parola chiara e irremovibile di censura rispetto a certe azioni e a certi comportamenti, ristabilendo così la giusta misura in una vicenda che rappresenta un po’ la silloge dei tanti mali che affliggono la nostra Università e ristabilendo l’ordine delle cose in una società come la nostra, dove troppo spesso chi agisce con onestà, facendo il proprio dovere di cittadino e denunciando gli abusi di potere, viene messo inesorabilmente ai margini. Di fronte a vicende come queste, mi chiedo e Le chiedo: come può un giovane cittadino o uno studente avere fiducia nelle istituzioni, nella politica e nell’Università, quando chi ha dimostrato le proprie ragioni, con tanto di sentenze giudiziarie, viene isolato da tutto, e invece chi è accusato di condotte illecite, e di linguaggio che è l’esatto contrario della funzione educativa svolta, viene addirittura premiato?”

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