Segnali di fumo dal sud Italia. Il Mezzogiorno è in continua frenata, già dagli ultimi mesi del 2018. A rivelarlo è il rapporto semestrale redatto da Confindustria, SRM-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (Centro studi del Gruppo Intesa Sanpaolo): il “Check-up Mezzogiorno 2019“.
Rallentamenti che rischiano di tradursi in disastri di enormi proporzioni: continua la lenta risalita “dell’Indice Sintetico dell’Economia Meridionale“, dove tutti e 5 gli indicatori che compongono l’indice fanno segnare un piccolo miglioramento, che si fa tuttavia sempre più lieve, in particolare con riferimento al Pil, all’occupazione, agli investimenti e alle imprese. E proprio la crescita delle imprese si è completamente arrestata; infatti nei primi mesi del 2019 le imprese attive sono meno di 1 milione e 700 mila (esattamente come nel 2018). A frenare è anche il Pil, che nel 2018, secondo le stime preliminari dell’ISTAT, fa registrare nel Mezzogiorno una crescita dello 0,4%, meno della metà del +0,9% della media nazionale
L’export rimane forte, se considerato nel lungo periodo. Infatti, nei primi mesi di quest’anno si è registrato uno stop inatteso, causato dalla diminuzione dell’export di coke e prodotti raffinati (parliamo di una diminuzione del 21% rispetto al primo trimestre del 2018). Non migliora la condizione di occupazione. Nel primo trimestre del 2019, gli occupati al Sud tornano sotto la soglia dei 6 milioni. I disoccupati sono circa 1 milione e 500.000, mentre molti di più sono gli inattivi. Il tasso di attività si ferma al 54% e quello di occupazione al 43,4%. Particolarmente elevata è la disoccupazione giovanile, che raggiunge il tasso record del 51,9% (più di un giovane meridionale su due non lavora).
La situazione siciliana
La Sicilia, in tal caso, si ritaglia un ruolo tutt’altro che felice. La lenta crescita a livello nazionale, ricade pure sull’Isola, la quale non mostra tanto in fattore di ripresa economica. La crisi ha trasformato il tessuto economico: nel primo trimestre del 2019, mentre le imprese attive sono calate del 0,1% rispetto al 2018, le società di capitali sono aumentate del 6,4%.
Una Sicilia che non si fa vedere competitiva. L’indicatore europeo di competitività mostra come la Sicilia si ritrovi all’ultimo nell’Ue, per stabilità economica, infrastrutture, salute, istruzione e innovazione. E proprio questi ultimi due punti sono parte del quadro degradato dell’Isola.
I consumi di energia sono scesi al 8,7%; l’industria manifatturiera perde un valore di 500 milioni; le imprese giovanili sono calate drasticamente (del 4,3% in un anno); oltretutto il saldo commerciale export-import si è chiuso in negativo, per un totale di -6 milioni. Non migliore l’istruzione. La Sicilia conta un 10% di abitanti (271 mila) con solo la licenza elementare e il 39% (1 milione e 57 mila) con la licenza media. Insieme alla Sardegna, il 21% dei giovani isolani abbandona gli studi. Mentre, circa il 49% non ha le qualifiche per entrare nel mercato del lavoro.
Note positive sono il settore del turismo, che cresce del 2,9%, con 4 mila aziende e 15 mila occupati nel settore, insieme al settore culturale, occupando 65 mila unità. Ma non bastano i numeri: infatti, i maggiori tempi d’attesa sono proprio negli uffici pubblici di questi due settori.