Il ddl Pillon è una delle proposte di legge più criticate e discusse tra quelle comprese nell'attuale contratto di governo. Diritto alla bigenitorialità, affidamento condiviso in tempi paritari e mantenimento in forma diretta sono alcuni dei punti centrali della proposta che mira a riformare l’attuale assetto del diritto di famiglia italiano. Abbiamo intervistato la professoressa Cinzia Cambria, docente di Diritto di Famiglia presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania per parlare di queste tematiche.
Sin dall’1 agosto scorso, giorno in cui è stato presentato, il ddl Pillon non ha smesso di far discutere. Non solo la nuova proposta di legge ha attirato le feroci critiche dei movimenti femministi che hanno dato il via alla contestazione ma ha messo in allarme addirittura l’Onu. Due relatrici speciali delle Nazioni Unite hanno infatti espresso un giudizio negativo sulla misura affermando che il testo del ddl “introdurrebbe disposizioni che potrebbero comportare una grave regressione, alimentando la disuguaglianza e la discriminazione basate sul genere, e privando le vittime di violenza domestica di importanti protezioni”.
Anche se al momento sembra “congelato” e non si conoscono le sorti future dell’iter legislativo della proposta di legge, la mobilitazione contro il ddl Pillon continua in tutta Italia. A Catania, è nata un comitato “No DDL Pillon” all’interno del quale fanno parte diverse sigle sindacali, associazioni e centri antiviolenza. Il Comitato ha proposto una raccolta firma per dire no al disegno di legge, invitando i cittadini ad esprimere il proprio dissenso nelle giornate del 4 e 5 maggio dalle 16,30 alle 20,30 in via Etnea all’ingresso della Villa Bellini.
Ma che cosa prevede realmente il DDL Pillon? Abbiamo intervistato Cinzia Cambria, professoressa di Diritto di Famiglia all’Università di Catania per far luce sui punti principali e allo stesso tempo più controversi della proposta.
Il DDL Pillon, come si legge nell’introduzione della proposta stessa, contiene “norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità”. Tuttavia, al di là delle singole norme e delle finalità insite nella misura stessa, occorre innanzitutto rilevare un fenomeno generale dal quale parte e si muove l’intera proposta: vale a dire la degiurisdizionalizzazione del diritto di famiglia. In pratica, il ddl Pillon vorrebbe limitare significativamente la discrezionalità del giudice nell’apprezzamento dell’interesse del minore in caso di conflittualità fra i genitori. Al giudice vorrebbe così sostituito il legislatore che dovrebbe identificare l’interesse del minore attraverso una pianificazione rigida di ogni aspetto della sua vita, perfettamente diviso in tempi paritari tra i due genitori.
“Nel diritto di famiglia – spiega la professoressa Cambria- nel tempo, il ruolo del giudice è diventato sempre più incisivo: il giudice non attua più soltanto la legge, ma la “crea” lui stesso nel momento in cui la applica. Il giudice infatti, dovendo tenere conto del singolo caso concreto, gode di una certa discrezionalità. Tale discrezionalità può essere rischiosa perché mette a rischio la certezza del diritto, ma si tratta di un rischio che bisogna correre dal momento che vi sono in gioco gli interessi dei bambini. Nel tempo, infatti, si è affermato sempre di più il diritto del minore, il cosiddetto “best interest of child”, principio che sancito da convenzioni e trattati internazionali, è stato recepito dai giudici italiani ed è direttamente applicabile.”
Passando ad analizzare però nel dettaglio i diversi articoli del ddl, vi sono alcuni punti centrali (tra l’altro i più criticati) su cui è bene fare chiarezza. Questi sono: a) mediazione civile obbligatoria per le questioni in cui siano coinvolti i figli minorenni; b) equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari; c) mantenimento in forma diretta.
1. Mediazione civile obbligatoria
Nell’ambito delle procedure per la separazione e il divorzio, il ddll Pillon, come si legge all’art 1 dello stesso, mira ad introdurre una nuova figura professionale, quella del mediatore familiare. Ma in cosa consiste esattamente la procedura della mediazione familiare? All’art 3 par.2-3 si legge “Le parti devono rivolgersi a un mediatore familiare[…]. La partecipazione al procedimento di mediazione familiare è volontariamente scelta dalle parti e può essere interrotta in qualsiasi momento. L’esperimento della mediazione familiare è comunque condizione di procedibilità secondo quanto previsto dalla legge qualora nel procedimento debbano essere assunte decisioni che coinvolgano direttamente o indirettamente i diritti dei minori.”
Questo articolo rappresenta in sé alcune criticità. “La mediazione civile obbligatoria – dichiara la docente – è già di per sé una contraddizione perché la mediazione, solitamente usata in ambiti economici e penali non è mai obbligatoria, bensì volontaria. Il mediatore è un soggetto terzo che vuole creare un dialogo tra le parti, le quali volontariamente scelgono di ricorrere a tale strumento. Attraverso tale ddl si vuole introdurre l’obbligatorietà della mediazione. Infatti, confondendola con la conciliazione, il ddl sembra voler fare entrare la mediazione all’interno del processo giurisdizionale, rendendola anzi presupposto e precondizione per accedere al processo stesso di separazione tra i coniugi.
Altro punto dolente è l’onerosità della mediazione stessa che, a parte la prima seduta che è gratuita, è a spese delle parti. Sappiamo però che le condizioni economiche di uomo e donna il più delle volte non sono paritarie e la maggior parte dei casi la figura che viene lesa è quella della donna, che nel nostro welfare non è ben garantita. Il ddl inoltre non tiene conto dei casi di violenza o abuso, andando contro la Convenzione di Istabul, che vieta espressamente la mediazione nei casi di violenza o abuso.”
2. Affidamento condiviso in tempi paritari
L’altro importante tema, forse il più rilevante, regolato dal DDL è quello dell’affidamento condiviso. La norma vorrebbe andare a sostituirsi all’attuale decreto legislativo del 2006 in materia, che secondo i senatori proponenti non tutelerebbe abbastanza il diritto dei padri alla genitorialità; mentre la riforma contenuta nel ddl potrebbe essere una misura di contrasto efficace alla cosiddetta “alienazione parentale”.
L’art 11 della proposta sancisce che “indipendentemente dai rapporti intercorrenti tra i due genitori, il figlio minore, nel proprio esclusivo interesse morale e materiale, ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con il padre e con la madre, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambe le figure genitoriali, con paritetica assunzione di responsabilità e di impegni e con pari opportunità. Ha anche il diritto di trascorrere con ciascuno dei genitori tempi paritetici o equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale.” La domanda che è spesso sorta in relazione a tale articolo verte sulla reale capacità di questa norma di tutelare l’interesse e benessere dei minori.
“Tale norma – afferma la docente – con la sua visione adultocentrica e con il diritto alla bigenitorialità a tutti i costi, finisce per negare la responsabilità genitoriale stessa, che dovrebbe essere esercitata attraverso un intervento significativo di ciascun genitore nella vita del figlio e non attraverso una mera divisione temporale del tempo da trascorrere con entrambi i genitori. Il ddl vuole fare una quantificazione matematica delle relazioni sociali: dividendo il tempo del bambino in 12 giorni minimi al mese da trascorrere dal padre e 12 dalla madre, la proposta priva in questo modo il figlio di stabilità e serenità.”
Oltre a non prendere realmente in considerazione l’interesse del minore, la proposta di legge sembra partire da basi e fondamenti errati sulla realtà sociale italiana.Il ddl, infatti, non sembrerebbe tenere conto della struttura sociale e dei ruoli di uomo e donna nel nostro paese. In Italia, diversamente dai paesi nordici ai quali sembrerebbe ispirarsi il ddl, la donna non gode di una condizione egualitaria. In Italia è sulla donna che gravano la maggior parte delle attività domestiche e di cura dei bambini e degli anziani, in si aggiunge uno scarso sistema di welfare. La donna è inoltre maggiormente penalizzata nell’ingresso nel mondo del lavoro, così come è maggiormente discriminata all’interno degli ambiti lavorativi stessi per le condizioni e le paghe ricevute.
3. Mantenimento in forma diretta
Infine, il DDL propone il mantenimento in forma diretta, strumento considerato ancora una volta a svantaggio della donna, che rappresenta il più delle volte la parte economicamente più debole.
“Il mantenimento diretto da un lato – chiarisce la professoressa – tiene conto di un importante istituto giuridico, quello dell’autonomia negoziale. Garantire la libertà, la volontarietà dell’accordo è un pregio, ma c’è sempre un rischio riferibile alla debolezza economica di una delle parti. Qui il ruolo del giudice è strategico, perché egli dovrebbe garantire la libertà dell’accordo, ma tutelando e riconoscendo dei principi e limiti inderogabili. Tuttavia, il mantenimento in forma diretta allo stesso tempo potrebbe fare aumentare la conflittualità tra i coniugi ma soprattutto potrebbe rendere complessa la soddisfazione di necessità e bisogni contingenti del minore. Laddove una delle parti si trovasse in difficoltà economica e vi fosse un bisogno urgente, si potrebbero avere delle difficoltà a reperire il denaro per sopperire a quel bisogno, ledendo il minore stesso.”
In sostanza, con tale strumento il ddl andrebbe ad eliminare l’attuale assegno di mantenimento, generalmente conferito dal padre alla madre per la soddisfazione dei bisogni del minore. Il mantenimento dovrebbe essere così equamente diviso tra i genitori in proporzione e rispettivamente ai tempi in cui il bambino risiede presso ciascun genitore. La norma nata per contrastare quelle situazioni estreme di cui talvolta si sente parlare, in cui certi padri faticano a mantenere i figli e finiscono per vivere in macchina o andare a mangiarealla caritas, in realtà non tiene conto delle differenze economiche esistenti tra i coniugi, presupponendo un’eguaglianza economica tra le parti, che raramente esiste in Italia.
“Dobbiamo riflettere sul fatto che esistono differenti e complessi interessi in gioco, a partire dall’interesse del minore a quello dell’uguaglianza, della parità e della libertà educativa dei genitori. Tale complessità però può essere ricondotta a punti di equilibrio. Va valorizzato il ruolo di mediatore, che deve mediare tali interessi ma nel rispetto della volontà. Dato che le relazioni familiari sono il luogo di espressione massime di costruzione della personalità, non si può sottrarre tale spazio alla libertà dell’individuo. La strada è quindi proprio quella di trovare degli strumenti che possano mediare tra la libertà degli individui e dei limiti inderogabili che garantiscano principi e interessi generali di ordine pubblico“, conclude la docente.
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