È ormai un consueto appuntamento quello del corteo di “Non una di meno”, movimento femminista che riempie gran parte delle piazze di tutto il mondo. Catania, anche quest’anno, è stata coinvolta. La manifestazione si è tenuta ieri pomeriggio e il corteo è partito da Piazza Roma intorno alle 18.00. Tanti i partecipanti, tra associazioni e famiglie, e quest’anno si è registrato un aumento delle presenze giovanili. Ai microfoni di LiveUnict, è intervenuta la Dott.ssa Marica Longo del Centro Antiviolenza Thamaia, che ha aperto il corteo.
Dott.ssa Longo, per i neofiti cos’è “Non una di meno” e come Catania ha aderito in questi anni?
“Non una di meno” è movimento internazionale che nasce tre anni fa, in seguito all’uccisione di una giovane ragazza argentina. Allo stesso tempo, dopo una serie di provvedimenti, di leggi e normative che penalizzavano la donna in sé che hanno interessato più Paesi come la Spagna e la Polonia, si è sentita l’esigenza di reagire attraverso la formazione di un movimento femminista. Una giornata di sciopero e di astensione dal lavoro produttivo e riproduttivo e dal genere imposto dall’eteropatriarcato. Noi del Centro Antiviolenza Thamaia, coordinati con altri gruppi, associazioni e realtà catanesi, abbiamo cercato di dare forma a questo movimento qui a Catania, proprio perché accadevano dei fatti molto gravi. Il caso di cronaca più eclatante fu la morte di Valentina Milluzzo, morta per un’infezione dopo il parto, una vittima che si sarebbe potuta evitare qualora non ci fossero obiettori di coscienza tra l’equipe medica. Il primo passo è stata un’assemblea presso l’aula consiliare del Comune di Catania, successivamente abbiamo preso parte alla manifestazione del 25 Novembre del 2016 a Roma per l’eliminazione della violenza maschile di genere. Da quell’incontro sono nati dei tavoli di confronto e il movimento è andato avanti così.
Cos’è cambiato dal 2016 ad oggi?
Ben poco. L’aria che si respira è ancora fortemente maschilista. La notizia degli ultimi mesi del DDL Pillon è il frutto di questo clima. Lo stesso DDL è un attentato a donne e minori di poter uscire dai propri percorsi di violenza. Già esisteva una legge sulla tutela dei minori, anche se il senatore Pillon la configura così, ma in realtà non permette alle donne di uscire da questo cerchio, in quanto il decreto legge non tiene conto della violenza, anzi, viene rintrodotto il concetto di “pater familias”. La stessa sentenza dei giorni scorsi sull’esistenza della tempesta emotiva come causa del femminicidio è stato un duro colpo da incassare, perché si è voluto patologizzare qualcosa che non ha niente a che vedere con la patologia; è soltanto un modo per garantire un percorso strutturalmente costruito sulla disparità di potere, giustificando così l’azione dell’uomo violento come raptus.
Tra le diverse realtà, presente era anche Liberaction, una associazione antispecista presente e attiva sul territorio catanese. Ai nostri microfoni, Martina Di Franco.
Martina, di cosa si occupa la vostra associazione Liberaction e perché siete qui oggi?
Liberaction è un’associazione antispecista. L’antispecismo combatte per i diritti degli animali e non identifica la specie umana come specie dominante; la nostra è una filosofia dove si inserisce anche quella del veganismo. Riconosciamo vari tipi di oppressione che si inseriscono nel modello capitalista eteropatriarcale. Il patriarcato si manifesta in vari modi per arrivare al raggiungimento del suo obiettivo, ovvero il potere, in quanto non sfrutta soltanto le donne umane. L’esempio lampante nel mondo animale è lo sfruttamento dell’essere e del corpo femminile attraverso la continua ed incessante riproduzione ai fini della produzione commerciale. Che il prodotto sia un uovo, la carne o il latte poco importa, è un fenomeno continuo, spesso ignorato dai media, che, guarda caso, finisce sulle nostre tavole.