Sono giorni difficili per l’Italia, preda di un’estate strana e imbizzarrita. A piogge e vento sull’intera Penisola si alternano afa e venti torridi, in particolare nella giornata dello scorso 23 luglio, quando già all’alba forti raffiche di vento hanno iniziato a sferzare la costa orientale della Sicilia. E ancora una volta, la regione brucia a causa dei roghi.
L’afa non è semplicemente sgradevole, quell’incentivo a piazzarsi davanti al ventilatore in attesa del momento in cui si tornerà a respirare; il vero problema, come ogni anno, è il numero di incendi che porta con sé.
La Sicilia è tornata a bruciare, i roghi divampati a Palermo e Trapani hanno minacciato abitazioni e uffici; l’area della Timpa è stata vittima di un vasto incendio che è proseguito per molte ore, nonostante l’intervento della forestale, la polizia e due Canadair. Solo nella giornata del 23 luglio gli interventi sono stati 120 nella zona di Catania, in parte per far fronte all’emergenza roghi e in parte per mettere in sicurezza le aree danneggiate dalle forti raffiche di vento della notte precedente, con rinforzi in arrivo da altri comandi provinciali siciliani e dal resto d’Italia.
Se avete l’impressione che la situazione diventi più complicata di anno in anno, avete ragione. Nel dossier di Legambiente del 2017 sugli incendi boschivi in Italia si legge che nel 2016 ad andare in fumo siano stati più di 27 mila ettari di boschi e aree verdi, per un totale di 4635 incendi, contro i 2250 dell’anno precedente. La Sicilia si trova in lizza per il primo posto nella triste gara per il maggior numero di incendi che si gioca tra le regioni del sud.
Le cause sono sempre le stesse: il mancato rispetto delle norme per la prevenzione degli incendi boschivi, i ritardi negli interventi da parte della ex forestale (adesso annessa ai corpi dei carabinieri, dislocata in città e non sempre abbastanza vicino alle zone di montagna), e non dimentichiamo il fattore doloso.
È proprio quest’ultimo il più preoccupante. Il dossier di Legambiente e la cronaca parlano di aumenti nelle denunce ma ancora pochi arresti. Nei territori considerati ad alto insediamento mafioso (come Sicilia, Campania, Calabria e Puglia) si è notato come molti degli incendi siano legati allo smaltimento illegale di rifiuti, al disboscamento volto all’abusivismo edilizio o al regolamento di qualche conto. Ma parlare dell’unico movente mafioso sarebbe riduttivo. In alcuni casi, a essere accusati sarebbero stati i pastori, che con gli incendi creano nuove zone di pascolo. Più grave la tendenza emersa dalle indagini degli ultimi anni, che vede gli impiegati stagionali (forestali e guardaboschi) protagonisti della scena dolosa: si appicca un incendio per averne uno da spegnere. Un circolo difficile da fermare e, soprattutto, da prevenire.
L’Italia ha un patrimonio boschivo non indifferente, ricopre circa il 36% della superficie territoriale nazionale. Ogni ettaro bruciato, ogni albero perso, rappresenta un grosso danno per l’ecosistema. Ma se proprio dell’ecosistema vi importa poco, facciamo un ragionamento di natura economica: solo nel 2016 il costo per l’estinzione degli incendi e il danno ambientale è arrivato alla terrificante cifra di 21.876.267€, cifra che ogni anno non diminuisce. Non ci sono Canadair a sufficienza, il che aumenta il costo degli interventi. Non abbiamo abbastanza personale. Altri costi.
Ogni incendio porta via una parte importante della biodiversità del territorio, soprattutto in Sicilia. L’estensione del nostro patrimonio boschivo rappresenta una grossa fetta di quello nazionale (il 13,1%), ma accettiamo passivamente di vederlo ridotto in cenere anno dopo anno.
Cosa possiamo fare? Iniziando dall’evitare di gettare mozziconi di sigaretta a terra (soprattutto in presenza di sterpaglia) e tutta l’ovvia ramanzina sul pericolo delle fiamme libere nel periodo estivo, il messaggio più importante è quello di avvisare subito gli organi di competenza quando si avvista un incendio. Se voi pensate “lo avrà già fatto qualcuno”, chi dice che anche altri non la pensino così?
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