Un foglio A4, un font anonimo, una lettera e un numero. È l’identikit di una serie di poesie di strada che, nel giro di pochissimi anni, sono apparse sui muri di moltissime città d’Italia. Su fogli sparsi o fogli in serie, questi componimenti anonimi sembrano perfettamente mimetizzati con il tran tran urbano: per alcuni sono delle chicche da scovare, ma la maggior parte dei passanti non li nota nemmeno. Ma di che si tratta veramente?
Alla fine, di ogni foglio, figura il timbro rosso “MeP” e la scritta “Movimento per l’Emancipazione della Poesia” corredata da un link. Si tratta di versi misteriosi, scritti da ragazzi e ragazze comuni, che parlano dei soggetti più disparati: di Parigi, di un amore impossibile, della morte, di viaggi, di una stagione dell’animo… Dietro questi versi misteriosi non risiede una semplice opera di attacchinaggio fine a se stessa, bensì un grande movimento con un intento ben preciso: diffondere l’arte in tutte le sue forme e riportare la poesia tra la gente.
Nato a Firenze nel marzo del 2010, da qualche tempo, il MeP è arrivato anche a Catania e, per saperne di più, abbiamo fatto una chiacchierata con alcuni dei suoi poeti militanti. “Il nucleo MeP di Catania viene concepito nell’estate del 2013 a Pisa dall’incontro tra uno sguardo attento di passaggio e le poesie sui muri del centro. Dopo un breve periodo di gestazione nasce nell’autunno dello stesso anno a Catania”, rivela il gruppo, chiedendo di restare anonimo, ai microfoni di LiveUnict.
Agiscono di notte, si aggirano per le strade della città per affiggere i loro versi, risparmiano opere d’arte e monumenti per i quali dichiarano di nutrire un profondo rispetto, e poi diffondono le poesie su qualsiasi tipo di canale di informazione: dai social network alla radio, dal giornale alla televisione. Il tutto si svolge in maniera rigorosamente anonima: per ovvie ragioni legali, giacché l’attacchinaggio privo di permessi è vietato, ma anche e soprattutto per tener fede alla missione della compagine che non vuole diffondere la “poesia di” ma la Poesia e basta.
“Obbiettivo primo è la poesia, intesa come forma di arte egemone e nell’accezione profonda di fare. I nostri sono versi militanti perché combattono l’indifferenza artistica dei molti, sovversivi perché rifiutano gli autori sacri e le élite anguste, “democratici” perché di e per tutti. La poesia deve tornare alle strade, alle periferie, ai vicoli sgarrupati del centro. Deve essere anonima perché la poesia viene prima del suo autore. Fare poesia può essere anche una pratica politica, per la riappropriazione degli spazi urbani e delle coscienze”.
Uno degli aspetti ideologici più interessanti del movimento, però, è quello di volersi svincolare da qualsiasi condizionamento o schema che canonizzi il processo di scrittura poetica e lo inglobi all’interno di una scuola o di una corrente. Il MeP ci tiene a chiarire, infatti, di non essere nessuna di queste due cose ma, al contrario, di rappresentare un’insieme di individualità che “riconosce pienamente il ruolo della poesia, e della cultura in senso lato, come motore sociale dei popoli; che riconosce l’importanza dei luoghi di produzione culturale non formale, e di tutti i modelli comunicativi che, attraverso la messa in discussione del concetto di poesia relegata ad ambienti di nicchia, ne restituiscono a tutti la forza e la potenza espressiva, senza distinzione di reddito, sesso, razza o religione”.
“Vogliamo smantellare l’idea dell’intellettuale borghese che discute nei salotti buoni della sua arcadia irrealizzata”, riassumono in breve. Liberandosi dallo spettro della tradizione e dei suoi grandi nomi, ai cui versi vengono volontariamente preferiti quelli di poeti contemporanei sconosciuti, il movimento vuole perciò sottolineare come la poesia sia, ancora oggi, un’arte più che mai viva. A dispetto del crescente disinteresse nei confronti della scrittura poetica, o dell’arte in generale, e dei pochissimi mezzi di diffusione culturale rimasti, tale iniziativa ha come obiettivo quello di dimostrare l’esistenza di un ambiente ancora oggi in fermento. Un ambiente che, slegandosi da qualsivoglia logica di profitto, rivendica un nuovo modo di concepire l’Arte per l’Arte.
“La poesia scritta in maniera disinteressata – intesa come necessità di comunicare le proprie pulsioni, i propri istinti, le paure e le gioie, le angosce e le speranze – è strumento di libertà di espressione di ciò che si è, abbattendo i muri del pregiudizio. La poesia è anche un modo per condividere il proprio disagio. E il disagio comune si trasforma in cambiamento. Ma è anche, in prima istanza, un canale senza filtri per arrivare a un pubblico molto vasto. Il fatto che una persona, mentre passeggia lungo i marciapiedi catanesi o mentre attende alla fermata del bus, possa leggere i nostri versi, che porta inevitabilmente con sé questa esigenza di libertà, riteniamo possa diventare un seme piantato nella coscienza di ognuno”.