Torna anche quest’anno, nella città etnea, la forza imprevedibile e imprevista del movimento femminista che, in pochissimo tempo e in tutto il mondo, ha scosso i paletti del sistema patriarcale: dall’Argentina alla Polonia, dalla Spagna all’Italia, la marea femminista ha sfilato ieri, irriverente e sfacciata, tra le vie principali della città.
Preannunciato dagli striscioni affissi dalle studentesse dell’Università e, dopo un sit-in del Centro Antiviolenza Thamaia che, in mattinata, ha avuto luogo in piazza Università, il corteo di protesta è partito da piazza Roma alle ore 17. Moltissime le realtà cittadine che hanno partecipato: Centro Antiviolenza Thamaia, Centro Studi di Genere GENUS Unict, RivoltaPagina Collettiva femminista, CanaglieCatanesi Collettiva femminista, Associazione Queers, Coordinamento Universitario, LINK-Studenti Indipendenti, Chiese Battista e Valdese, LILA Catania, Sindacato USB, e singole soggettività.
Con slogan disinibiti, striscioni e performance originalissime, il movimento ha portato un’ondata di freschezza tra le strade della città che, in un grigio pomeriggio di marzo, hanno assunto i colori dell’arcobaleno. “Ciò che mi piace di questo movimento è che è felicemente spudorato” – dichiara Emma Baeri, storica femminista e attivista di RivoltaPagina, ai microfoni di Live Unict – “Spudorato perché, oltre al discorso sulla violenza contro le donne, tornano finalmente in campo temi come il corpo e la sessualità da tempo considerati un tabù”. Dando una rapida occhiata intorno, infatti, non è difficile notare come gli slogan più diffusi siano proprio quelli che riguardano il corpo: “Scopo quando voglio”, “Comunque vengo anch’io”, “La rivolta squeerta”.
“Mi ricorda la libertà con cui – negli anni Settanta – si diceva ‘l’utero è mio, lo gestisco io’, dove la parola utero era totalmente impensabile, uno scandalo”, continua Baeri. “Storicamente, il corpo femminile è stato un corpo indicibile, tacitato e in qualche modo osceno. Da nascondere, da nominare con metafore, come quelle che si usano per le mestruazioni. La clitoride o la vulva sono parti del corpo, ma sono diventate oscene, mentre invece le volgarità sul corpo delle donne sono considerate normali. Adesso è entrato nella scena politica con i suoi nomi ed è un fatto dirompente dal punto di vista culturale. Per questo, la rottura di questo movimento è appassionante”, conclude.
L’aspetto originale e innovativo apportato da NUDM, difatti, è proprio la confluenza di numerosi discorsi sulla violenza di genere con un focus, oltre che su aspetti concettuali importanti, su problematiche concrete – welfare, gap sul lavoro, sessualità, educazione – attraverso strumenti e mezzi di protesta materiali quali lo sciopero e una serie di rivendicazioni precise: un reddito di autodeterminazione, un salario minimo europeo e un welfare universale.
Ben lontano dal donnismo o dalla retorica vittimistica, tipici della giornata dell’8 marzo, quella di ieri a Catania è stata una vera e propria festa, una denuncia collettiva al grido di #Wetoogether e una riappropriazione dello spazio pubblico, che ha saputo portare tra le via di una città, ancora troppo reazionaria, una ventata che profuma di cambiamento. Una novità che, spesso nel corso della manifestazione, ha lasciato un’espressione interrogativa sul volto di molti passanti: dal venditore di mimose poco sicuro del significato dello slogan “Non vogliamo fiori, ma solo vibratori” a quello di due ragazzi che, vedendo sfilare anche alcuni uomini, si sono chiesti: “Capisco le donne, ma perché gli uomini?”
Perché sì, un altro dei punti di forza di NUDM è quello di essere un movimento transfemminista, un contenitore ricco di diversità che non comprende solamente le donne o coloro che sono collocate in questa categoria, ma anche tutte le persone LGBT. Tra le realtà presenti, infatti, anche l’associazione Queers di Catania. “Lottare contro il sistema patriarcale significa lottare anche a favore delle persone LGBT, perché di fatto questo sistema tende a eliminare tutte le persone che non rientrano nella norma”, ci spiega Riccardo Messina, portavoce dell’associazione. “In quanto frocio, non sono un maschio alfa, dunque non rientro nella norma e metto fine alla riproduzione di un sistema: per questo sono una minaccia. La matrice della violenza è la stessa”, conclude sottolineando come la lotta LGBT finora si sia concentrata solo sui diritti civili: “Questa è solo una fetta, però. C’è chi si accontenta e chi no”.
Riunendosi in piazza Università intorno alle ore 20, il corteo – che ha riunito anime e femminismi diversi – vedrà così confluire, nello stesso luogo e nello stesso momento, tutte queste realtà: realtà differenti ma che al grido di “Non Una di Meno” trovano forza in una collettività che, come si annuncia ai microfoni, non ha intenzione di fermarsi. La promessa dell’anno scorso è stata mantenuta. Noi siamo sicuri che anche in futuro sarà così.