Il fenomeno delle baby gang sta spopolando in seguito alle ultime notizie che riportano atti di ferocia inaudita ingiustificata compiuti nella maggior parte dei casi da giovanissimi nei confronti di altri giovanissimi. Chi o cosa ne è la causa? È caccia al colpevole.
Le istituzioni non possono più voltarsi dall’altra parte fingendo che il fenomeno delle baby gang – vere e proprie squadriglie punitive – sia qualcosa di circoscritto ad aree del sud Italia incapaci di promuovere uno sviluppo sociale adeguato. L’ondata di violenza, inaccettabile perchè ingiustificata ma soprattutto perchè messa in pratica da nient’altro che bambini, sta infettando tutta la Penisola, e una risposta al problema è più che necessaria, indispensabile.
Negli ultimi giorni in seguito ai più recenti episodi sono state spese molte parole sulla vicenda, ed in particolar modo Roberto Saviano, attraverso un video su La Repubblica, ha spostato il focus dell’argomento su un problema fondamentale di Napoli e non solo: la mancanza di sostegno all’istruzione.
“Pestare per uno sguardo, sparare per niente”, inizia così il suo discorso, e prosegue puntando il dito verso la “totale indifferenza del dibattito pubblico”. Come fare ad offrire alternative ai giovani che non hanno niente in una società dove “il denaro è l’unica cosa che conta”? Saviano propone una risposta: “La risposta è scuole. La risposta è coraggio.” Il giornalista e scrittore chiede allo stato un sostegno ad un “esercito di professori” che senza il supporto morale ma soprattutto finanziario non può combattere ad armi pari contro la piaga sociale che investe il nostro paese.
La parola d’ordine è concretezza. Bisogna dare mezzi e non parole a chi, se sufficientemente supportato, ha la possibilità di debellare o quantomeno ridurre il fenomeno. Come? Offrendo un’alternativa ai ragazzi che hanno smesso di credere in un futuro migliore, rendendo le scuole delle case, luoghi familiari di aggregazione, di istruzione, rendendo tutto ciò fattibile attraverso la collaborazione di un adeguato sistema docenti e di un considerevole aiuto delle istituzioni.
Ci sono poi altre voci, come quella di Melita Cavallo, giudice in pensione, ex presidente del Tribunale per i minorenni di Roma, che in un’intervista a La Stampa dà la colpa a Gomorra, fiction di fama internazionale da lei accusata di essere modello negativo che incita alla violenza. Per il giudice dunque c’è un aspetto culturale non trascurabile da tenere in considerazione. Ma è davvero la violenza virtuale il problema o è piuttosto una questione ben più complessa da analizzare e risolvere nella sua totalità?
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