Recentemente, all’interno della rubrica online “Detto tra noi”, curata dalla redazione siciliana del quotidiano nazionale “la Repubblica”, è stata riportata una toccante lettera natalizia, speciale anche per il destinatario: il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
A scrivere è invece Rosaria di Bartolo, una cittadina palermitana che, con questa lettera, si elegge metaforicamente a rappresentante delle mamme dei giovani ragazzi siciliani alle prese con gli studi o con il lavoro, figli di quest’Isola ma ormai sempre più lontani o in fuga dalla stessa (tranne per le feste, appunto).
“[…] I nostri ragazzi sono nati intorno agli anni Novanta, mentre Falcone e Borsellino in questa città, ci lavoravano e ci morivano. I loro genitori (noi), negli anni Settanta volevano cambiare il mondo e ci sono anche riusciti un po’, credendo ancora in un mondo sempre migliore e sempre più grande”. È quanto si legge dalle prime righe della lettera, che introduce una parentesi temporale che accomuna il percorso di crescita dei giovani ragazzi siciliani. Poi prosegue: “(I genitori) hanno messo su belle famiglie, appassionate, bambini cresciuti come miracoli, scelti, amati, pochi conflitti. I ragazzi hanno frequentato i nostri buoni licei pubblici e hanno avuto ottimi professori, che li seguono li formano e sono qui ancora”.
“E hanno viaggiato i nostri ragazzi, – continua la lettera – gli abbiamo raccontato la bellezza di poter andare e tornare […] abbiamo raccontato loro dell’emigrazione solo nel ricordo di parenti lontani, costretti ad andare per sopravvivere ma non li abbiamo preparati a nulla di simile. […] Sono andati all’Università, in Italia o all’estero e poi ancora almeno un anno di Erasmus o stage… Scelgono il loro futuro e non si risparmiano. Arriva il giorno atteso: la laurea, neanche a dirlo 110 e lode o giù di lì, sono proprio bravi. Si sentono Europei i nostri ragazzi, anche se il loro mare è il più bello di tutti… e vanno, vann0 via tutti i migliori.
[…] Le madri dei ‘nostri ragazzi’ (io) si incontrano e parlano di loro, hanno di che vantarsi, sono orgogliose e tristi. […] Io lavoro nella Palermo dei Quartieri, nelle periferie, che è poi la più grande Palermo. Lì Signor Presidente ci sono tanti ragazzi senza speranza perché è inutile girarci intorno, senza lavoro non c’è speranza e non c’è futuro; così alcuni trovano occupazione nella malavita più o meno organizzata facendo all’inizio piccole cose ma incominciando a sviluppare un grande senso di appartenenza che li legherà forse per sempre a questa terra; altri inseguendo il desiderio di un calore familiare mai avuto, cercano di farsela loro una bella famiglia, così sono mamme e papà a 15, 16, 17 anni.
E chi resta? Noi restiamo, non certo giovani, su quest’isola che i nostri ospiti turisti amano, in questa città bellissima, Capitale della Cultura, Capitale dei Giovani ma che si sta perdendo il futuro così. […] Mi piacerebbe che tutte le madri, i padri, le famiglie, le aziende, i professori, che tutti i cittadini lo pretendessero questo futuro in un coro impossibile da non udire. Ma adesso è Natale, tornato tutti, è un piacere vederli. […] Altro che luminarie, signor Presidente, saranno i loro sorrisi la luce di questa città, e le loro risate, la musica.
Presidente, non se li lasci scappare i Suoi ragazzi e per Natale regaliamogli quello che avevamo promesso: la libertà di girare per il mondo liberi però di andare, di tornare, liberi anche di restare. Buon Natale, signor Presidente”.
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