Oltre 250mila italiani si trasferiscono all’estero. La maggior parte è laureata e solo uno su tre ritorna. Le mete più gettonate: Germania, Regno Unito, Svezia e Svizzera.
Che gli italiani siano un popolo di migranti non è una novità. Il picco raggiunto tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento è andato sicuramente ridimensionandosi per almeno tre decenni, ma dopo la crisi economica del 2008, una crisi che ancora si fatica a superare, pare che gli italiani con la valigia in mano siano di nuovo tantissimi: dal 2014 al 2016 sono stati 285mila gli italiani a trasferirsi all’estero, poco meno del Dopoguerra quando gli italiani che decidevano di tentar la fortuna fuori dai confini del nostro Paese erano circa 300mila. La storia, si sa, è ciclica.
Ma chi sono i protagonisti di questo vero e proprio esodo? Con i tempi che corrono, sarebbe lapalissiano specificare che si tratta, per la maggior parte, di giovani. Giovani con almeno un livello di istruzione superiore. Il 30,0% di coloro che si sono trasferiti nel corso del 2016, infatti, sono laureati e, secondo il rapporto Almalaurea del 2017, pare che su 262.347 studenti laureati nel 2015, il 4,6% abbia trovato un lavoro all’estero. Inoltre, solo un italiano su tre ritorna: delle 102mila unità che si sono trasferite nel 2015 e delle 114mila del 2016 solo 30mila circa sono rientrati.
Tra le mete più gettonate degli italiani che decidono di trasferirsi all’estero, secondo il portale Eures (portale europeo della mobilità professionale) troviamo il Regno Unito, al primo posto, seguito da Germania, Svizzera e Svezia. Ed è proprio Giulia M., che si è trasferita in Svezia, dopo aver conseguito la laurea triennale in Studi Internazionali a Trento, per completare il suo percorso di studi a raccontare a LiveUniCT le motivazioni alla base di questa scelta: “Ho deciso di trasferirmi a Lund perché avevo sentito parlare del Master in Media & Communcication Studies come uno dei migliori in Europa e uno dei migliori garantiti da un’università pubblica. Non sono rimasta in Italia perché master del genere sono estremamente costosi e invece qui sono gratuiti se sei cittadina europea. Ed era una sfida con me stessa: partire per un Paese totalmente diverso per cultura e approccio allo studio. I rapporti coi professori sono molto meno formali, c’è possibilità di fare ricerca seria a partire dal tuo primo anno di master. E in Svezia non esiste la corsa a chi fa meglio, c’è la concezione che il riposo è assolutamente sacro e va rispettato”. Alla domanda su un eventuale ritorno in Italia, dopo il conseguimento del Master, Giulia però risponde: “Se dovessi trovare una buona opportunità, sì. Altrimenti cercherò altrove”.
Come al solito, una questione di possibilità lavorative e di un diverso tipo di valorizzazione del capitale umano a cui i giovani di oggi sono particolarmente sensibili. Una questione che, peraltro e più in generale, si rivela dannosa per il nostro Paese dal momento che, secondo i dati Eurostat, questo flusso migratorio che ci vede costretti ad andare all’estero non riceve sostituzioni. Se nel 2016, infatti, i paesi europei con la quota più alta di immigrati altamente qualificati sono Danimarca (59,8%), Irlanda (58,4%) e Regno Unito (54,7%), l’Italia, accompagnata dalle fedelissime Spagna e Grecia, si accaparra le ultime posizioni, ospitando solo il 13,4% di giovani stranieri laureati. Una doppia perdita per il nostro Paese, dunque, che non solo perde giovani laureati, fonte di ricchezza economica e culturale, ma che come diretta conseguenza non riesce nemmeno ad attirare nuovo capitale umano da parte di altri Paesi europei.
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