Il dato che ha fatto più parlare delle regionali siciliane dello scorso cinque novembre è stato il calo d’affluenza alle urne: 46,76% contro il 47,42% del 2012. Dai sondaggi di Demopolis antecedenti alla data del voto è emerso che la maggioranza dei siciliani ha perso la propria fiducia nella politica nel corso degli ultimi cinque anni, arrivando persino a provare repulsione per ciò che essa rappresenta. Grandi assenti gli studenti fuorisede e i residenti all’estero; entrambe le categorie non avrebbero ricevuto alcun tipo di agevolazione, se non un invito ad acquistare biglietti per il treno a tariffe speciali. Inutili per chi deve affrontare un viaggio internazionale.
Per la maggior parte dei giovani residenti in Sicilia, invece, avrebbe vinto la scelta della scheda bianca o nulla. Pensare che la tendenza sia una prerogativa del Meridione o del Belpaese in generale, è errato. È sorprendente scoprire quanti Millennials (ossia i giovani nati tra il 1980 e il 1999) compiano la stessa scelta ogni giorno in tutto il mondo.
Dall’esterno un simile atteggiamento appare (erroneamente) come disinteresse nei confronti della società. E’ necessario tenere presente che grazie all’altissimo numero di notizie accessibili ventiquattro ore al giorno, non più limitate ai confini della propria città o a un’unica visione, quella dei Millennials è la generazione più informata di sempre. Il disinteresse verso la politica, dunque, non appare essere frutto di indolenza, ma di una rinnovata propensione a preferire l’attivismo e la promozione di un ideale alle imposizioni del colore di un partito.
I giovani imparano presto a guardare con sospetto i rappresentanti di una politica troppo vecchia, che sembra non provare alcun interesse nei confronti di chi rappresenta quasi un terzo dell’elettorato. Si può prendere come esempio il referendum sulla Brexit, dove la visione conservatrice degli over 60 ha determinato il risultato di una votazione che, a lungo termine, avrà maggiori ripercussioni su chi aveva espresso a gran voce la propria preferenza per il Bremain.
Allora cosa rimane da fare se non utilizzare il silenzio come forma di protesta, soprattutto quando le proposte sono tutte simili tra loro o nella rosa di candidati manca qualcuno che sia in grado di distinguersi? Non è un caso che il premier canadese Justin Trudeau, che in più occasioni ha mostrato apertura verso temi che interessano le nuove generazioni, sia generalmente più acclamato di altri capi di governo. Come lui, Bernie Sanders ha dimostrato che sono le idee e la credibilità a fare di un candidato l’araldo di una battaglia che i Millennials sono disposti ad appoggiare.
Gli elettori che rifiutano di accettare un programma politico nella sua interezza, senza avere alcuna possibilità di ridiscutere i punti che meno riescono a convincere, vengono spinti ai margini, cassati come materiale per le statistiche fino a data da destinarsi o fino al momento in cui anche un voto in più può fare la differenza. Finché la situazione rimarrà invariata, lo sarà anche questa posizione.