Finale a sorpresa per la 67°esima edizione del Festival di Sanremo, appena conclusosi e che ha visto trionfare, con grande sorpresa, Francesco Gabbani, autore ed interprete del brano rivoluzionario “Occidentalìs Karma”, già candidato ad essere il prossimo tormentone nazionale, almeno fino alla prossima estate.
Gabbani, alla sua seconda partecipazione effettiva (la prima nella categoria “campioni”), si era già distinto, in quanto ad originalità, con la canzone “Amen”, vincitrice lo scorso anno per la categoria “nuove proposte”, nonostante l’iniziale esclusione. La canzone in questione, “Occidentalis Karma”, ha portato con sé aria di freschezza ed originalità sin dalla prima sera del festival, in cui è stata presentata; musicalmente, una prima rivoluzione è data dalla dinamicità del pezzo, tale da spingere i giornalisti della sala stampa dell’Ariston, nel corso delle varie esibizioni, ad alzarsi in piedi e ballare a “ritmo di karma”. Originale, è stata anche la scelta di farsi accompagnare, coreograficamente, da una scimmia – sotto le cui spoglie si nasconde il ballerino e coreografo di Xfactor, Filippo Ranaldi – che ha richiamato alla memoria il celebre balletto che portò il premio della critica, del Festival 2002, ad un altro tormentone, “Salirò” di Daniele Silvestri.
In molti si saranno accorti delle numerose “citazioni” che contiene il testo: il celebre “Panta rei” (la massima più famosa del filosofo Eraclito), il dubbio amletico di Shakespeare e la stessa scimmia nuda – ormai simbolo iconografico della canzone – ispirata al titolo di un celebre saggio, dedicato all’evoluzione umana, dell’antropologo Desmond Morris.
E’ lo stesso cantautore carrerese a chiarire il senso della canzone, affermando – con sottile ironia – di come sia tipico della nostra generazione lo stravolgimento delle pratiche orientali (richiamate, nel video, dalla tunica e l’ambiente buddista) per la ricerca di una serenità interiore e l’utilizzo comune delle più celebri massime filosofiche, come quelle tratte dall’Amleto, ormai “commercializzate” dalla nostra generazione. A proposito dell’opera shakespeariana, “essere ” e “dover essere” rappresenterebbero (nel testo) lo specchio della società occidentale, divisa tra ricerca di sè e necessità d’apparenza. Complessivamente, la canzone propone un ritratto di un uomo tutto sommato ancora “scimmia” – senza peli, come direbbe lo stesso Morris – e delle innumerevoli contraddizioni in cui “inciampa” la nostra evoluzione, oscillanti tra il fascino del karma filosofico e i comportamenti più “social” del web, dai “selfisti anonimi” ai “tuttologi “, analizzando ancora una volta la perdita di individualità e l’ostentazione che caratterizzano la nostra generazione.