Era una domenica mattina qualunque, il 12 settembre 1993. Elisa Claps, sedici anni, si allontanava da casa per raggiungere la chiesa della Santissima Trinità, nel cuore di Potenza. Era una ragazza come tante: studiava al liceo classico, sognava di diventare medico, viveva con la sua famiglia in un ambiente semplice e amorevole. Nessuno poteva immaginare che quella sarebbe stata l’ultima volta che qualcuno l’avrebbe vista viva. Per diciassette anni, il nome di Elisa sarebbe stato pronunciato con speranza, rabbia e disperazione. E per tutto quel tempo, la verità rimase nascosta, esattamente dove lei era stata uccisa: nel sottotetto di quella stessa chiesa.
Solo nel 2010, grazie a lavori di ristrutturazione, il mistero fu svelato. Ma la scoperta del corpo non fu la fine della storia. Fu l’inizio di un altro capitolo fatto di accuse, processi, silenzi assordanti e verità troppo a lungo taciute.
Il giorno della scomparsa e i primi sospetti
Elisa Claps scomparve poco dopo le 11 del mattino. Aveva detto alla famiglia che si sarebbe unita a loro in campagna per pranzo. In realtà, secondo le testimonianze raccolte, Elisa aveva un appuntamento segreto nella chiesa con Danilo Restivo, un ragazzo di 21 anni noto per il suo comportamento ambiguo e inquietante. Voleva farle un regalo, forse parlarle di una ragazza di cui si era invaghito. Ma qualcosa andò terribilmente storto. Nelle ore successive, Restivo si presentò al pronto soccorso con una ferita alla mano, raccontando una versione vaga su una caduta vicino alla chiesa. Indossava abiti sporchi di sangue, ma nessuno li sequestrò. Le indagini, da subito confuse, permisero al giovane di lasciare la città per motivi di studio. Fu l’inizio di una lunga serie di errori, omissioni e occasioni mancate.
Nel tempo, amici e conoscenti descrissero Restivo come un soggetto disturbato, ossessionato dalle ragazze, incline a comportamenti bizzarri: chiamate mute, pedinamenti, il feticismo dei capelli. Più volte, anche la madre di Elisa, Filomena, cercò di far sentire la sua voce, indicando Restivo come possibile responsabile. Ma le sue parole caddero nel vuoto. Per anni, le autorità non presero seriamente in considerazione l’unica pista plausibile. Un errore imperdonabile che ha allungato il calvario della famiglia Claps.
Il ritrovamento shock nel sottotetto della chiesa
Il 17 marzo 2010, diciassette anni dopo la scomparsa, operai impegnati in lavori di manutenzione nella chiesa della Santissima Trinità scoprirono i resti di Elisa nel sottotetto, in uno spazio accessibile, mai realmente ispezionato con attenzione. Il cadavere era avvolto in uno scenario agghiacciante: accanto al corpo, ancora oggetti personali come occhiali, orecchini, sandali, un orologio e la biancheria strappata. La scoperta sollevò interrogativi inquietanti. Possibile che nessuno, in tutti quegli anni, si fosse accorto della presenza del corpo?
Per il fratello Gildo Claps e molti cittadini, la risposta è no. L’omertà, consapevole o meno, del clero e delle istituzioni locali appare evidente. Anche perché già nel 1966 furono effettuati lavori in quella stessa area. Come poteva essere rimasto lì un cadavere per così tanto tempo, senza che nessuno notasse nulla?
La scoperta fece infuriare l’opinione pubblica, anche per un altro motivo: la chiesa non fu subito sequestrata. Solo quando il corpo fu ufficialmente identificato come quello di Elisa, si diede avvio a una nuova fase giudiziaria. Le analisi del DNA furono decisive: sulla maglietta della vittima venne rinvenuta una macchia di sangue mista, che conteneva materiale genetico di Danilo Restivo. Era la prova che mancava.
Elisa Claps aveva 16 anni quando fu uccisa con 13 coltellate:
“Da quel giorno sono trascorsi 32 anni di depistaggi e silenzi. Una vita intera per mantenere viva la memoria e continuare a cercare verità e giustizia. Sono stati 32 lunghissimi anni che hanno segnato profondamente non solo le vite dei suoi affetti più cari, ma anche di un’intera comunità. In questa triste vicenda un ruolo enigmatico e opaco è stato assunto dall’Ente ecclesiastico, i cui preti rappresentanti non sono mai stati collaborativi con gli investigatori. Il vento della memoria semina giustizia,“ scrive l’associazione Libera Contro le Mafie.
La doppia vita di Danilo Restivo e le condanne
Nel frattempo, Restivo si era trasferito nel Regno Unito. Viveva nel villaggio di Charminster, vicino alla sarta Heather Barnett, madre di due figli. Il 12 novembre 2002, la donna fu ritrovata nella sua abitazione, massacrata con delle forbici, con una ciocca di capelli nelle mani. Il delitto mostrava analogie inquietanti con quanto si ipotizzava fosse accaduto a Elisa. Fu solo nel 2011, dopo il ritrovamento del corpo della Claps, che anche la giustizia britannica si mosse. Il Tribunale di Winchester condannò Restivo all’ergastolo per l’omicidio della vicina di casa. E in Italia, a Salerno, fu avviato il processo per l’omicidio Claps: il 24 aprile 2013 la Corte confermò la condanna a 30 anni di carcere, anche se Restivo ha sempre professato la sua innocenza.
Il caso giudiziario, però, non ha mai colmato il vuoto emotivo, né ha risolto tutti i punti oscuri. La famiglia Claps ha più volte sottolineato le gravi responsabilità di alcuni membri del clero e delle istituzioni locali. Gildo Claps ha definito “impossibile” che in quella chiesa nessuno abbia mai visto o intuito la presenza del corpo. Ha parlato di «sciatteria investigativa», ma anche di una rete di silenzi che ha consentito all’assassino di farla franca per anni. L’indignazione non si è mai placata. E continua ancora oggi.
Il caso Claps anche sullo schermo. La vicenda di Elisa è stata raccontata anche nella serie Rai «Il caso Claps», trasmessa su RaiPlay, che ripercorre la sparizione, il ritrovamento nel sottotetto e la condanna di Danilo Restivo. La serie mette in luce i silenzi, le omissioni e il dolore che hanno segnato trent’anni di attesa. Guarda Il caso Claps su RaiPlay.
La riapertura della chiesa e la ferita che non si rimargina
Nel 2023, la chiesa della Santissima Trinità è stata riaperta al culto. Una decisione che ha spaccato l’opinione pubblica e ha fatto riesplodere il dolore della famiglia Claps. La madre di Elisa ha invitato i cittadini a entrare pure, ma senza dimenticare:
“Guardate in basso, non in alto. Perché su quel pavimento ci sono ancora le tracce del sangue di una ragazzina innocente”.
Gildo ha definito “folle” la scelta di riaprire a pochi giorni dal trentennale dell’omicidio. La famiglia si è detta disposta ad accettare la riapertura, ma solo a patto che la Chiesa si assumesse formalmente le proprie responsabilità per i ritardi, le omissioni, il lungo silenzio. Una richiesta che non è mai stata accolta pienamente.
L’Arcidiocesi di Potenza ha risposto parlando di “strumentalizzazione” e ha auspicato un dialogo. Ma per la famiglia Claps, ciò che manca è un riconoscimento pubblico e inequivocabile di quanto accaduto in quella chiesa, di quanto non è stato fatto per tempo. Per loro, ogni messa celebrata tra quelle mura riapre una ferita mai chiusa, ogni celebrazione è una preghiera sospesa.
Il volto di una giustizia incompiuta
Il caso Elisa Claps non è solo una tragedia personale. È il simbolo di un’Italia che, a volte, fallisce nel garantire giustizia alle sue vittime. È il volto di una verità arrivata tardi, troppo tardi. Di indagini condotte con leggerezza, di silenzi che hanno protetto un assassino. Di una chiesa che, anche senza colpe dirette, ha tenuto chiuse troppe porte. La condanna di Danilo Restivo è servita a chiudere un capitolo, ma non il libro.
Infine, con voce ferma ma carica di dolore, il fratello Gildo ha detto:
“Se davvero una sola volta Danilo Restivo vorrà dire la verità, allora varrà la pena sopportare l’ennesimo strazio di incontrarlo, ascoltarlo. Io non temo la sofferenza: temo che il suo silenzio continui a coprire altro, che dietro quel sottotetto ci siano ancora verità negate.”
Questo è ciò che resta: non solo un omicidio, non solo un nome condannato, ma una famiglia che chiede che ogni ombra venga illuminata. Non chiedono vendetta, chiedono di essere ascoltati. Per Elisa. Per la verità.
Elisa Claps aveva solo sedici anni. Non ha avuto il tempo di diventare medico, di innamorarsi, di vivere. La sua storia ci interroga ancora oggi. E lo farà finché tutte le domande non avranno una risposta, finché il dolore di una famiglia non verrà pienamente rispettato. Finché giustizia e verità non saranno, finalmente, la stessa cosa.
Temi come quello di Elisa Claps non sono solo cronaca nera, ma specchi della nostra società. Su LiveUnict ci impegniamo a raccontare questi casi con rispetto, profondità e spirito critico, perché la memoria è l’unico antidoto al silenzio.





“Guardate in basso, non in alto. Perché su quel pavimento ci sono ancora le tracce del sangue di una ragazzina innocente”.







