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Gli ambienti di Via del Principe N°20, a Catania, si trasformano per qualche giorno in location di un incontro particolare, quello tra performance dal vivo e realtà virtuale e chi sceglie di assistervi viene coinvolto in un’esperienza immersiva multidimensionale.
A partire dal 7 giugno scorso e fino a domani, 19 giugno, va in scena ma in una versione aggiornata Una fuga in Egitto. Rotta virtuale per l’esilio di Retablo Dreamaturgy Zone, su testi di Lina Prosa, Tino Caspanello e Turi Zinna: di quest’ultimo il progetto drammaturgico, ma anche la cura del montaggio, la regia ed un ruolo nella pièce.
Uno spettacolo per cui non basta un paio di occhi. Di fatto, una volta entrati in sala, i presenti vengono invitati ad indossare dei visori di realtà virtuale e così, d’improvviso, non esiste più alcun confine tra palco e platea.
Tra personaggi e rimandi
Una figura indistinta, incappucciata e senza volto, appare per prima tra gli spettatori, che accedono in un’inconsueta sala pochi per volta.
In seguito ad un’introduzione del regista, con già addosso i visori Oculus, il pubblico incontra in prima battuta l’attore che recita dal vivo. È un’immagine marcata dall’assenza di colori: lo sguardo è dominato e confuso dal bianco e nero e da abbondante fumo o nebbia, ma le parole ben si percepiscono.
“Una salvezza, non ancora salva, da dover salvare”: è una frase che la maggior parte dei presenti porterà con sé di ritorno a casa, come un souvenir, alla fine dello spettacolo. Ma lo spettacolo cosa riserva?
In primo luogo immagini e titolo utilizzati legano questa pièce al dipinto Una fuga in Egitto dell’artista veneziano Giambattista Tiepolo, lo stesso che immortala la Sacra Famiglia a bordo di un’imbarcazione. Ma se questa originale opera funge da fonte di ispirazione, i riferimenti a una Maria e a un Giuseppe, a dir poco inediti, non si esauriscono qui.
La prima autofeconda in sé un pensiero che sa di rivoluzione ma il secondo, bloccato nel e dal suo conformismo, non comprende tutto questo ed è pronto ad optare per il divorzio. La figura femminile, interpretata da Barbara Giordano, “partorirà uno sguardo destinato a liberare il mondo”, quella salvezza già citata.
Tra le parole-chiave dello spettacolo, figura poi anche “tempio” perché, in effetti, proprio un tempio mira a “far strage degli occhi indisponibili a essere programmati”.
Oltre a Maria e a Giuseppe, di cui Marcello Montalto veste i panni, arricchiscono la trama figurando in video 360° stereoscopico due Arcangeli, quello nero e quello bianco, rispettivamente interpretati da Chiaraluce Fiorito e Giovanni Arezzo. D’altronde anche questi vengono rappresentati dal Tiepolo. In scena, invece, Valentina Ferrante e Turi Zinna.
Catapultati in altri spazi
Ma la novità sta nel modo in cui si seguono le vicende e nella condivisione degli spazi da parte di attori e spettatori. Quando le parti recitate dal vivo cedono il passo a quanto proiettato dai visori, chi assiste si ritrova catapultato in luoghi altri, che paradossalmente appaiono più reali degli spazi di Via del Principe.
Lo spettatore può, così, attraversare paesaggi aridi o immergersi sott’acqua mentre occupa una seduta e non è più chiaro, a quel punto, cosa sia reale e cosa fittizio, quanto ci sia di concreto e quanto di simulato.
Disparati temi e diverse forme
Usufruendo di tecnologie all’avanguardia, il progetto teatrale sviluppato per visori di realtà virtuale riesce a coniugare forme d’arte apparentemente inconciliabili: dalla drammaturgia alle arti visive digitali, passando per il cinema immersivo tridimensionale a 360° e senza omettere la musica elettronica.
Ne deriva un’esperienza di realtà mista, oggi tutt’altro che sconosciuta o fantasiosa.
“La realtà immersiva, che in futuro lo sarà ancor di più, fa parte di qualsiasi mondo quotidiano che noi intendiamo rappresentare – dichiara il regista Turi Zinna ai microfoni di LiveUnict – . Se anche volessimo fare del semplice realismo in teatro, dovremmo fare degli sforzi per cancellare questa parte di noi.
Ma il nostro tentativo – continua – è quello di far fare alla tecnologia cose che magari questa non è predisposta a fare. In questo momento abbiamo sviluppato un sistema per far fare all’Oculus una realtà aumentata che ci consente di creare lo spazio per la performance, per l’azione live dello spettatore”.
Ma Una fuga in Egitto. Rotta virtuale per l’esilio è anche un ampio serbatoio di tematiche, originalmente connesse: si tratta di memoria e di sensorialità, di ambito privato e politico, di coscienza e manipolazione, di ribellione e ubbidienza.
Si propone, infine, una visione del mondo al femminile che non può convivere con un sistema magari ultramoderno e avanzato tecnologicamente, ma autocratico-patriarcale.
Più gente a teatro?
Resta da chiedersi se questo genere di innovazioni possano comportare una diversa affluenza, un cambio di rotta nel numero di fruitori di spettacoli teatrali.
“Questo è semplicemente il nostro modo di fare teatro. Gli edifici teatrali si sono evoluti nel corso della Storia, fino ad arrivare a questo genere di spazi contemporanei, ovvero riadattamenti – continua il regista – . Questi mezzi creano altri sistemi di spazio e una multilocalizzazione nel nostro modo di intendere il reale. Ciò incide nella drammaturgia in maniera profonda, e su quel famoso assioma per cui il teatro è ‘qui e ora’ che, secondo me, non è più la realtà. Bisognerebbe almeno interrogarsi su cosa sia oggi il ‘qui e ora’.
Non so se questi mezzi porteranno più o meno gente a teatro. Per qualcuno, più curioso, forse potrebbe essere. Ma quando uno spettatore sta in un ambiente ma percepisce meglio di trovarsi in un altro, dove c’è un attore registrato ma che appare quasi più definito di quello vero, emergono domande sul senso della presenza e su cosa sia vero e cosa no.
A mio avviso – conclude – siamo sulla soglia di qualcosa dalla definizione non più chiara e se qualcuno è interessato a questa soglia, questa potrebbe essere una scelta giusta“.