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All’inizio del mese di marzo, la ditta incaricata per i lavori di interramento di cavi elettrici durante gli scavi ha trovato dei resti archeologici. Proprio intorno l’area di via Androne sorgeva un’ampia necropoli, usata dal III secolo a.C. fino in età bizantina. Il “cimitero scomparso”, definito così dal prof. Dario Palermo, anticipava di ampio raggio di secoli l’editto napoleonico di Saint Cloud del 1804: la città funeraria, infatti, sorgeva fuori dal perimetro della città antica.
Catania, lavori restituiscono resti archeologici in via Androne [FOTO]
La storia di Iulia Florentina
Secondo gli scavi e le testimonianze degli archeologi che hanno operato sull’area nei secoli antecedenti al XX, la necropoli si estendeva in una vasto spazio che comprendeva le zone tra Piazza Stesicoro e Piazza Santa Maria di Gesù. Nel 1730 avviene la scoperta ad opera di don Ignazio Rizzari di una delle testimonianze più importanti: l’epigrafe di Iulia Florentina.
“Iulia era una bambina di 18 mesi, morta qualche ora dopo aver ricevuto il battesimo – specifica prof.ssa Soraci – . Abitava nei pressi di Paternò, ma poco prima del decesso, i genitori sentirono una voce divina che li invitava a seppellire la figlia davanti le porte dei martiri cristiani. L’epigrafe stessa spiega il motivo di una sepoltura così lontana dal locus mortis ”.
Per ulteriori approfondimenti, ecco lo studio del prof. Palermo e della prof. Soraci
La Catania sotterranea
L’archeologo trentino Orsi, le cui ricerche si sono incentrate nel sud-Italia, tra la seconda metà dell’800 e la prima del ‘900, ha portato alla luce numerosi sepolcri, tutti ritrovati nella zona di Via Androne.
“Ciò è stato possibile perché sul piano urbanistico la città continuava a mantenere lo stesso assetto antico, – afferma il prof. Palermo – anche se fu così per poco tempo. La stessa Via Etnea nel giro di pochi anni compì una metamorfosi, ma molte campagne nei dintorni mantenevano la propria natura. Negli anni successivi alle due guerre, in seguito alla crescita demografica e al boom economico, l’espansione urbanistica fu un evento senza precedenti. Si iniziarono a costruire case, palazzi e appartamenti anche nelle zone rurali, senza dare rilievo a cosa si trovasse sotto le radici degli alberi”.
Nel giro di pochissimo tempo la speculazione edilizia ha cancellato la stratigrafia archeologica, dando rare opportunità di scavi e di ricerca. “Uno degli ultimi scavi condotto nella città fu quello del 1968 in via Orto di San Clemente – prosegue Palermo – tra il Bastione degli Infetti e l’Anfiteatro. Proprio in quell’occasione partecipai come studente universitario e furono ritrovati dei gruppi di tombe a fosse e un’epigrafe latina che testimonia la morte di un giovane di 23 anni di nome Eusebio”.
La legislazione urbanistica
Nonostante l’archeologia sia una scienza “nuova”, regolamentata e studiata secondo determinati criteri a partire dal ‘700, intorno al ‘900 in Italia vengono emanate le prime leggi sulla salvaguardia dei beni culturali.
“Il primo avvento legislativo si data al 1909 – spiega il docente -, anno in cui l’Italia fa un primo passo per la tutela dei beni. Successivamente è stata regolarizzata anche dalla Costituzione Italiana. Nonostante ciò, pur avendo gli strumenti del mestiere e molte testimonianze del ‘700 e dell’800 che documentavano la presenza di un grande tesoro culturale sottoterra, non è stato mai disposto un piano urbanistico che salvaguardasse questo patrimonio. La speculazione edilizia ha avuto la meglio sulla cultura. Oggi ci troviamo una città in cui non appena viene spostata una basola, ci restituisce sempre qualcosa del passato”.
La necropoli in via Androne
E così è successo durante i lavori di interramento di cavi. Ma i resti archeologici rivenuti attualmente sono in fase di studio.
“Sicuramente si tratta di resti sepolcrali – ha commentato l’archeologo – data l’area di pertinenza. Purtroppo non è stato possibile approfondire ulteriormente lo studio, nonostante sia stato accertato da tre secoli la presenza di una necropoli sotterranea. Quando riemergono tesori durante lavori pubblici o di manutenzione, entra in campo la legge sull’archeologia preventiva. Dopo il ritrovamento si procede con un’esplorazione archeologica e lo studioso riferisce quanto è stato trovato alla sovrintendenza. A quel punto la stessa sovrintendenza decide se ampliare la ricerca con ulteriori indagini oppure richiudere il tutto. Probabilmente la scelta della sovrintendenza di abbandonare l’approfondimento è dettata da molti fattori, ad esempio dalla scarsità dei fondi economici e dal fattore traffico. Via Androne è un punto nevralgico per il traffico e per il collegamento verso il centro ed effettuare degli scavi significherebbe porre un blocco alla mobilità in quella zona”.
Catania, dunque, si riconferma matrigna nella valorizzazione dei beni archeologici e nell’incapacità di gestire e saper sfruttare le ricchezze del passato. In particolar modo, con questo atteggiamento si rischia solo di perdere frammenti di storia, che potrebbero restituire un’immagine totalitaria.
“Non si tratta di storia locale, – ha dichiarato la prof.ssa Soraci – la Sicilia è un punto di riferimento per capire l’evoluzione dell’espansione del cristianesimo, fenomeno che ci riguarda a livello internazionale. Se si fosse prestata più attenzione a questa zona, avremmo senz’altro avuto più notizie sulla prima fase del cristianesimo a Catania. Le fonti e i reperti che sono stati ritrovati nei secoli scorsi e sui quali siamo costretti a basare le nostre indagini riportano l’esistenza di ben due basiliche tra il V e il VI secolo. Senza dubbio, Via Androne è stata il centro del culto del cristianesimo. Lo testimoniano l’epigrafe di Iulia, le fonti agiografiche ed epigrafi pagane. Per questo motivo lì venivano sepolti molti cristiani”.
Ospedale Santa Marta: un’occasione sprecata
Un’opportunità di rivincita archeologica poteva essere rappresentata dalla demolizione del Santa Marta con annessa riqualificazione del centro storico. Ma anche qui, un’altra occasione sprecata per far voce alla storia delle nostre radici. “Il Santa Marta da secoli non fa che eruttare reperti, – ha proseguito il prof. Palermo – frutto di una stratigrafia livellata dall’età del rame al terremoto del ‘700. Nel nuovo progetto di riqualificazione non si tiene conto di cosa c’è sotto il suolo che calpestiamo. Sarebbe stato opportuno programmare una campagna con i mezzi tecnici, proseguire successivamente con gli scavi e poi stilare un progetto sulla nuova struttura urbanistica”.
Investire nella ricerca archeologica non è solo la realizzazione di una percorso culturale, ma stimola la crescita dell’economia nell’ambito del settore turistico. E il modello del Monastero dei Benedettini ne è l’esempio: costruire sul passato riportando alla luce lo stesso passato con dei percorsi guidati che lo rendono accessibile.
“Se si seguisse l’esempio dei lavori condotti all’interno del Monastero – ha dichiarato la professoressa –potremmo restituire al pubblico una vastità di resti archeologici. Allo stesso tempo sarebbero visibili e fruibili sia per i catanesi che per i turisti”.