“A che serve essere vivi, se non c’è il coraggio di lottare?” è una delle frasi presenti nell’opera teatrale “La violenza” scritta da Giuseppe Fava. In una sola frase è racchiusa l’essenza della vita dell’intellettuale siciliano, vittima della mafia catanese per la semplice ragione di aver toccato dei tasti dolenti nel tentativo di portare a galla la verità. Lottare, infatti, è stato quello che ha fatto Fava per gran parte della sua vita, e con mezzi che non hanno nulla a che vedere con le armi ma che per alcuni si sono rivelati pericolosi al punto da commissionare l’omicidio dell’intellettuale. Ecco la storia di Giuseppe Fava, raccontata in occasione dell’anniversario della nascita del giornalista siciliano.
Giuseppe Fava: intellettuale a tutto tondo
La storia di Giuseppe Fava è fortemente legata alla città di Catania ma l’origine dell’intellettuale è in realtà della provincia siracusana. Infatti, l’uomo nacque a Palazzolo Acreide il 15 settembre del 1925 e solo nel 1943 si trasferì nella città etnea, dove frequentò la facoltà di Giurisprudenza laureandosi all’Università di Catania.
Tuttavia, una decina d’anni dopo aver ottenuto il titolo accademico in Legge, Fava intraprese la carriera giornalistica a livello professionale collaborando con diverse testate. Scrisse di cronaca e si dedicò ad approfondimenti e a inchieste, ma per tutta la durata della sua carriera ebbe modo di scrivere anche di cultura e sport. Fu inoltre caporedattore di Espresso sera fino al 1980 e successivamente direttore del Giornale del Sud, nel quale si dedicò spesso ad articoli sui traffici della mafia, scatenando una serie di atti di forza contro la rivista.
Fava venne quindi licenziato e non gli restò che creare la sua rivista, I Siciliani, nella quale poté affrontare tutti i temi che riteneva opportuno fossero trattati dai media. Il giornale subì anche i tentativi di acquisto da parte degli stessi imprenditori che denunciava per atti illeciti, ma rimase una testata indipendente. Inoltre, nel corso della sua carriera giornalistica, Fava ebbe modo di lavorare anche in radio, nel mondo del teatro e del grande schermo come sceneggiatore.
L’assassinio
Con le sue attività mirate a scovare la verità e i traffici di molti imprenditori collusi, con le inchieste e gli articoli di giornale antimafia e con le sue stesse azioni e dichiarazioni, Fava divenne ben presto un personaggio scomodo per la mafia, in particolare per quella catanese. Per questo motivo fu ordinato il suo assassinio, che lo rese il secondo intellettuale ucciso da Cosa Nostra, dopo Giuseppe Impastato.
La sera del 5 gennaio 1984, il giornalista si era recato a prendere la nipote che recitava al teatro Verga a Catania, in via dello Stadio, adesso nota come via Fava. Appena scese dall’auto fu raggiunto alla nuca da cinque colpi di pistola che lo lasciarono esanime accanto al proprio mezzo. Sul movente dell’omicidio ci fu inizialmente qualche dubbio, causato dalla tipologia di pistola usata, che non riprendeva il modello tipicamente usato per delitti di mafia. Qualcuno sostenne che si trattava di un delitto passionale, altri di ragioni economiche, ma ben presto si arrivò alla conclusione più ovvia: Giuseppe Fava diventò una delle tristemente numerose vittime di mafia.
Il dubbio sul movente impedì la cerimonia pubblica con la partecipazione delle cariche della città per il funerale dell’uomo, che invece si tenne nella chiesa di Santa Maria della Guardia. In pochi parteciparono alla cerimonia e tra le cariche fu presente solo il questore, alcuni membri del PCI e l’allora presidente della Regione Siciliana Santi Nicita. Una seconda cerimonia funebre ebbe in ogni caso luogo a Palazzolo Acreide, dimostrando grande partecipazione per un ultimo saluto al coraggioso giornalista siciliano. Sul luogo dell’omicidio, a Catania, è ancora oggi presente una targa commemorativa in memoria di Giuseppe Fava.
L’eredità di Pippo Fava
Esempi classici della memoria di Giuseppe Fava sono sicuramente la rivista “I Siciliani” e la fondazione che porta il nome del giornalista. Infatti, il giornale indipendente continuò il suo lavoro senza stancarsi, aprendo la redazione anche il giorno successivo all’assassinio di Fava, quasi come ad omaggiare il fondatore seguendo il suo esempio di lotta continua per la verità, nonostante ogni avversità.
Per quanto riguarda la Fondazione Fava, diretta da Elena, figlia del giornalista vittima di mafia, fino alla sua recente scomparsa, anche in questo caso la primaria attività è stata quella antimafia. L’azione si è rivolta soprattutto ai giovani, organizzando convegni ed eventi nei quali coinvolgere le scuole e i ragazzi, oltre all’istituzione di un Premio Nazionale che non poteva che chiamarsi “Nient’altro che la verità: scritture e immagini contro le mafia”.
Inoltre, Fava ha lasciato una grande produzione di articoli giornalistici, saggi, opere teatrali e romanzi nelle quali ha affrontato i temi a lui più cari. Nel 1980 realizzò persino la sceneggiatura del film “Palermo or Wolfsburg” che vinse l’Orso d’Oro. Ma è anche vero che in tanti hanno scritto o realizzato opere su Giuseppe Fava e la sua storia: film-documentari, cortometraggi, fumetti e fiction, come la produzione Rai “Prima che la notte”, ne sono l’esempio. Fava è inoltre uno dei soggetti presenti nel murales che riprende le vittime di mafia e che si trova sulle mura del carcere di Piazza Lanza a Catania.
Infine, l’insegnamento maggiore che Fava ha potuto lasciare ai posteri è sicuramente il suo esempio di lotta per la giustizia e di coraggio per la difesa e la ricerca della verità. Esempio che si spera possa essere di monito per tutti, giovani e meno giovani, contro i tentativi di prepotenti, purtroppo molto spesso andati a segno, di agire nell’illecito come meglio credono. Un esempio che dovrebbe stimolare all’azione per un proprio interesse, ma anche in onore di tutte quelle vittime che hanno lottato fino alla morte per avere garantiti i propri diritti.