È passato più di mezzo secolo dalla pubblicazione di “Feste religiose in Sicilia”, opera a due mani, frutto di un rapporto raro tra il giovane fotografo ventenne di Bagheria e del maestro Leonardo Sciascia. Inizia così, Scianna ricordando il suo primo libro in un incontro aperto a tutti, presso l’auditorium Pietro Floridia, cui hanno partecipato fotografi, associazioni e appassionati. La lectio magistralis di Scianna è stata una delle tante tappe sparpagliate in Sicilia del Med Photo Fest 2019.
I suoi cinquant’anni di carriera sono stati sempre accompagnati da libri, che lui stesso ha definito come “prova dell’esistenza” di ogni fotografo. Ha ripercorso in ordine cronologico la storia dei suoi lavori, raccontando al pubblico qualche retroscena degli scatti. Indelebile è il segno che ha lasciato in lui lo scrittore Leonardo Sciascia, il quale non ha mai dubitato della sua forza creativa e l’ha sostenuto nei momenti più difficili della sua vita. Non per nulla Scianna lo ricorda come il suo “angelo paterno”. “Sciascia fu criticato quando uscì il mio primo libro e lui ne scrisse i testi – dichiara il fotografo – perché affermò che la religiosità siciliana non ha nulla di metafisico, come si vuol fare credere, ma è legata ad oggetti e culti da mettere in mostra all’interno di una comunità”.
Il successo delle foto di Scianna non si può associare solo all’uso abile ed esperto della luce, la cui conoscenza è imprescindibile per tutti coloro che si approcciano alla fotografia. “Tutte le luci sono interessanti” – ha affermato Scianna, rassicurando così tutti i fotografi emergenti, anche non presenti in sala – “perché sono insite nel culto dell’immagine. Non esiste una luce perfetta, tutto dipende da come e cosa si vede”. Pippo Pappalardo, esperto e critico fotografico, ha aggiunto: “La luce è la condizione stessa dell’esistenza dell’immagine”.
La missione di fotografo di Scianna è stata sempre portata a termine all’interno di più cornici, quali il viaggio, la ricerca, gli incontri e le storie. Cornici che, a loro volta, coincidono con i contenuti. “Per me la fotografia è come a truvatura” – ha esclamato Scianna. Truvatura è uno di quei tanti termini dialettali siciliani difficili da tradurre in italiano; letteralmente è ciò che è stato trovato, il più delle volte sono i tesori nascosti, ma può spaziare di significato, in storie e racconti. La fotografia è, dunque, il mezzo per conservare quei tesori che il fotografo ha scoperto durante il suo viaggio affinché siano noti a tutti. Ciò implica, appunto, viaggiare e d essere in costante ricerca.
Un dato biografico di Scianna da non trascurare è il suo percorso universitario nella facoltà di Lettere e Filosofia, poi volontariamente interrotto senza il raggiungimento del titolo. Tuttavia, la sua esperienza universitaria ha influito molto sul suo percorso di vita e professionale. “Ho incontrato persone fondamentali per la mia vita – spiega l’autore – per esempio Cesare Brandi, uno dei più grandi critici d’arte di questo paese, che è stato un mio maestro. Mi sono formato in maniera fondamentale attraverso la sua visione della forma e delle immagini”. E, restando in tema di istruzione, insegnamento e magistri vitae, aggiunge: “La scuola diventa determinante quando incontri maestri. La scuola non deve essere fatta di professori, ma di maestri: se tu ne incontri uno, hai trovato un tesoro”.
Scianna ha intitolato il suo ultimo lavoro “Cose”. Le lingue morte ci insegnano che questa parola, per riferirsi a un elemento specifico, deve essere necessariamente accompagnata da un’altra parola. “Nel mio lavoro non c’è questa accezione. La mia è un’accezione fotografica – spiega ancora Scianna – e l’avrei chiamato “Cose viste”, se non fosse un titolo di un’opera che esiste già, nata dalla penna di Victor Hugo. Per un fotografo è diverso, ha proprio un’accezione fisica, cioè di ‘cose visibili che io ho visto’. Sono cose che appartengono a varie categorie, come oggetti, paesaggi, animali che io ho incontrato nel mio peregrinare nel mondo come fotoreporter”.