Cosa rende tanto comune l’uso del caffè? Cosa nasconde davvero una semplice tazza di caffè Qualcuno si addormenta, altri invece si risvegliano e c’è chi addirittura “riprende energia”. Perché? A dimostrarlo è una ricerca sperimentale effettuata dai ricercatori della Harvard School of Public Health di Boston.
Quasi l’80% della popolazione mondiale beve caffè. Questa bevanda, di provenienza araba, è in grado di avere sull’organismo di ogni individuo sia effetti positivi che negativi. Perché? Per poterne comprendere la sua natura, ecco un salto genetico all’interno delle sue proprietà molecolari ma soprattutto alla conoscenza del suo costituente principale: “la caffeina”.
Conosciuta nel mondo scientifico con il nome di 1,3,7-trimetilxantina, la caffeina è un alcaloide, è di origine vegetale ed è presente in diverse piante come appunto quella del caffè, del té, del cacao: tutte le bevande che comunemente usiamo per controllare il nostro livello di attenzione e di forza, durante le nostre giornate di studio e lavoro. Questa molecola viene assorbita, con un tempo breve di 60 minuti, dal nostro intestino e dunque dallo stomaco per poi distribuirsi fino al fegato dove viene metabolizzata dal nostro sistema enzimatico e convertita in tre dimetilxantine che sono le determinanti principali dei suoi effetti sull’individuo.
Nello specifico infatti la “Paraxantina”, assorbita per l’84%, stimola la lipolisi provocandone effetti benefici di concentrazione di glicerolo e acidi grassi nel sangue utilizzati successivamente dai muscoli. La “Teobromina”, assorbita per il 12% agisce su effetti vasodilatatori aumentando il flusso di ossigeno e di nutrienti importanti per il cervello ed inoltre agisce anche sulla pressione sanguigna e l’attività renali stimolando la diuresi. La “Teofillina”, assorbita per il 4% ha azione cronotropa ovvero agisce sulla frequenza del battito cardiaco.
Da come possiamo notare quindi gli effetti della molecola sono distribuiti sui primari sistemi del nostro organismo cardiocircolatorio, endocrino e sistema nervoso determinando dunque sia effetti positivi che negativi tra cui l’alto livello di concentrazione o nel caso contrario effetti collaterali come il classico “tremolio da caffè”, stati d’ansia, nervosismo, aumento eccessivo del battito cardiaco fino a degenerare in patologie specifiche quali la rabdomiolisi. Come controllare i suoi effetti dipende dall’uso quotidiano eccessivo o meno.
La ricerca degli studiosi di Harvard effettuata su ben 120.000 soggetti di origine diversa, consumatori abituali di caffè, hanno evidenziato che esistono sei nuovi loci genetici (ovvero posizione del gene) che si vanno a sommare con due precedentemente conosciuti. Questo gruppo genetico gioca un ruolo fondamentale a livello farmacologico creando dei polimorfismi a singolo nucleotide, un po’ come lo stesso effetto che fu dimostrato sulla dipendenza dalle sigarette. Basandosi su questi risultati la ricerca ha evidenziato dunque come possa variare la sensibilità che ognuno di noi ha nei confronti di questa molecola consigliando come ricercatori di saperne sfruttare prevalentemente gli effetti benefici più di quelli negativi. Come sappiamo già, l’uso e l’abuso sono un binomio difficile da controllare poché sono tante le bevande che oggi contengono caffeina (cola, té, caffè, energy drinks) e che portano l’individuo a non saper controllare la quantità assorbita. Come ogni ricerca vuole dimostrare però si spera che a prevalere sulle nostre abitudini sia il nostro buon senso ricordandoci che la salute occupa sempre l’apice di noi stessi.