Nel secondo trimestre del 2025, le retribuzioni contrattuali in Italia hanno mostrato segnali di ripresa: l’indice mensile ha registrato un incremento del 3,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre quello orario è salito del 3,3%. Questo andamento riflette una lenta ma progressiva uscita dalle difficoltà economiche post-pandemiche. Tuttavia, l’aumento resta ancora parziale rispetto all’erosione del potere d’acquisto determinata dall’inflazione elevata degli ultimi anni. La dinamica salariale, quindi, pur positiva in termini nominali, non basta a garantire un pieno recupero del reddito reale dei lavoratori.
Contratti collettivi: alta copertura, ma rinnovi in ritardo
A giugno 2025, il 96,2% dei lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato risulta coperto da un contratto collettivo nazionale in vigore. Ma dietro questa ampia copertura si nasconde una realtà più complessa: solo il 51,7% dei lavoratori ha un contratto rinnovato negli ultimi tre anni. I cicli negoziali restano lenti, e ciò ha ricadute dirette sulla capacità dei contratti di intercettare l’inflazione. Nel secondo trimestre sono stati aggiornati solo quattro contratti, tra cui quelli dei settori energia e farmaceutico, per un totale di circa 260.000 dipendenti coinvolti. I rinnovi si riferiscono per lo più al triennio 2022–2024, mentre molti comparti strategici, soprattutto nella pubblica amministrazione, restano fermi.
Scuola e pubblica amministrazione: salari stagnanti e poca valorizzazione
Tra i comparti meno dinamici in termini retributivi spicca l’Istruzione. Il settore scuola – che da solo incide per oltre il 9% sul monte salari complessivo monitorato da Istat – continua a essere tra i meno aggiornati contrattualmente. A giugno 2025, la retribuzione oraria è cresciuta del 2,8% su base annua, ma l’aumento mensile per dipendente è stato di soli 13 euro. Il contratto 2019-21 è scaduto da oltre tre anni e, sebbene siano già stati stanziati fondi per il triennio successivo, il nuovo contratto è ancora in attesa di definizione. Il risultato è duplice: da un lato l’effetto dell’inflazione sulle buste paga non è compensato, dall’altro il personale scolastico – già gravato da responsabilità sempre maggiori – non riceve un adeguato riconoscimento economico. La gestione della complessità , l’inclusione scolastica, la digitalizzazione e le nuove riforme ordinamentali non trovano al momento un corrispettivo in termini contrattuali.












