Oggi è la giornata internazionale contro le Mutilazioni Genitali Femminili(MGF): una pratica che continua a far discutere. Ecco cosa sono, quali sono i loro effetti a lungo termine e come fermarle.
Nel 2012 le Nazioni Unite hanno proclamato il 6 febbraio come Giornata Internazionale per l’eliminazione delle Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) con il fine di diffondere una maggiore consapevolezza su questa pratica lesiva dei diritti umani e con la speranza di porvi fine. L’obiettivo sembra essere ancora lontano, c’è ancora molto da fare e di cui parlare.
“Female genital mutilation”, sono state definite dall’OMS, nel 1995, come: “atti o interventi che prevedono l’asportazione parziale o totale degli organi genitali esterni femminili e lesioni arrecate ai genitali per motivi culturali o comunque non terapeutici”
Il dossier pubblicato nel 2008: “Eliminating Female genital mutilation – An interagency statement” distingue quattro tipologie di questa pratica brutale che viola i diritti di donne e bambine:
Gli interventi sui genitali femminili sono nella maggioranza dei casi praticati su bambine, la cui età varia da pochi giorni all’adolescenza, a seconda della tradizione della propria comunità o cultura. Questa orribile pratica sembra essere indispensabile per poter dimostrare al futuro marito la propria purezza e quindi per poter dare prova a tutta la comunità di essere degne di un matrimonio.
L’operazione è generalmente affidata ad una donna “esperta”, spesso scelta tra le levatrici tradizionali. Donne che utilizzano tecniche tramandate di generazione in generazione. In alcuni contesti possono essere anche i capi tribù o i capi religiosi ad effettuare l’intervento. Solitamente gli strumenti sono rudimentali e di uso comune (pezzi di vetro, lamette, rasoi, coltelli, forbici…), non sterilizzati.
La “World Health Organization” ha stilato una lista sui rischi a breve termine derivanti dalle MGF:
Nel mondo il numero di donne che convivono con una mutilazione genitale è di diversi milioni. Gran parte delle ragazze e delle donne che subiscono queste pratiche si trovano in 29 Paesi africani mentre una quota decisamente minore vive in paesi a predominanza islamica dell’Asia.
Anche se illegale nell’UE, e alcuni stati membri la perseguono anche quando viene eseguita fuori dal paese, si stima che circa 600mila donne che vivono in Europa siano state vittime di questa pratica.
Dopo anni di silenzio nel 2012 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha formulato un piano di azione per bloccare questa pratica. Nel 2018 si è arrivati a decretare tolleranza zero per le MGF, precedentemente incluse negli obiettivi di sviluppo sostenibile nell’ambito dell’obbiettivo 5.3, che richiedeva l’eliminazione di tutte le pratiche dannose.
Ad intervenire in prima linea è l’UNICEF in collaborazione con l’UNFPA, che attraverso un programma congiunto opera in 17 paesi dove già risiedono associazioni come l’AIDOS, che porta avanti ormai da molti anni il progetto “Building Bridges”. Con questo progetto si cerca di creare legami tra le diverse comunità africane e di garantire una migliore assistenza psicosessuale per donne sia in Africa che in Europa. Giovani europei si impegnano a “costruire ponti”, che prevedono attività sia nei Paesi di origine dei migranti sia in quelli di arrivo, fornendo informazioni alle comunità e sensibilizzando sulla questione, per evitare la stigmatizzazione da parte dei media. L’UNFPA ha stimato che entro il 2030 vi saranno circa 68milioni di ragazze che subiranno mutilazioni genitali a meno che non si acceleri il programma di azione.
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