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Tra metà febbraio e gli inizi di aprile due scenari hanno dominato le giornate dei catanesi. Da un lato gli spettacolari parossismi dell’Etna, tra colonne di fumo, fontane di lava e colate. Dall’altro balconi, strade e città intere ricoperte di una fitta coltre nera di cenere. A metà marzo la Dusty ha raccolto oltre 250 tonnellate di cenere, senza contare quella delle eruzioni successive. Dove finisce tutto questo materiale?
In genere, le soluzioni sono due: la discarica (al costo di 120€ a tonnellata) o gli impianti di recupero di inerti (a circa 12 € a tonnellata). Ma c’è una terza strada, fatta di ricerca scientifica, saggezza popolare e creatività, che mira a trasformare la cenere dell’Etna in una risorsa per tutta la Sicilia.
Cenere dell’Etna come fertilizzante
L’utilizzo agricolo della cenere dell’Etna è una delle applicazioni che potrebbero assorbirne il maggior quantitativo, assieme all’uso nell’edilizia. Lo spiega a LiveUnict il dottor Mario Pagliaro, chimico e ricercatore del CNR. “Si tratta – afferma l’esperto – di una soluzione realistica all’accumulo di quantità gigantesche di materiale“.
Del resto, è un impiego noto sin dai tempi antichi e che ancora oggi viene utilizzato dai proprietari di vivai e giardini. “È un ottimo fertilizzante inorganico – dichiara -. Innanzitutto, perché apporta alle piante sia minerali utili, come calcio e potassio, sia microelementi di metalli pesanti, come rame e ferro. Inoltre, si tratta di un materiale pozzolanico, capace di assorbire una quantità molto maggiore del proprio peso in acqua. Aggiunta al terreno, la cenere assorbe acqua e la rilascia lentamente. Funziona come una sorta di ‘spugna rilascia-acqua’.
Una proprietà preziosissima per tutti i terreni – continua –. In particolare per quelli della Sicilia, che soffrono per quattro-cinque mesi l’anno un apporto di quantità limitate d’acqua, tipicamente da maggio a metà settembre”.
Chiunque, assicura il ricercatore, può utilizzare la cenere dell’Etna come fertilizzante, purché nelle quantità giuste. “È importante non esagerare, non bisogna soffocare il terreno – spiega -. Bisogna usarla nella quantità giusta, con l’apporto tipico di un concime, pari a piccole frazioni percentuali. In questo modo basta metterne anche meno dell’1% del terreno in superficie, senza particolari accorgimenti”.
Se la cenere ha queste proprietà così benefiche, allora, perché non viene usata dappertutto? “Per farlo su vasta scala bisognerebbe coinvolgere le associazioni di categoria dei contadini – dichiara il dottor Pagliaro -. Non è stato fatto da un lato per pigrizia, dall’altro perché l’industria chimica non ha interesse a far crescere questo utilizzo: se usi un concime naturale non compri quello prodotto in fabbrica. Ma le cose stanno cambiando. Paesi come il Cile hanno anche iniziato a commercializzare le ceneri vulcaniche ed è inevitabile che succeda anche da noi”.
Impianti di fitodepurazione
Un altro progetto, ancora in fase di sviluppo, consiste nell’utilizzare la cenere dell’Etna per produrre degli impianti di fitodepurazione delle acque reflue, adoperandola come substrato. L’idea è stata descritta a LiveUnict dal professore Giuseppe Cirelli, docente di Idraulica agraria e sistemazioni idraulico-forestali all’Università di Catania.
“Normalmente usiamo un substrato lavico – spiega Cirelli –, che reperiamo dalle cave presenti nel territorio etneo. Insieme ai colleghi Paolo Mazzoleni e Germana Barone, del dipartimento di Geologia, vorremmo usare la cenere come substrato per degli impianti maggiormente sostenibili. Al momento siamo in una fase di caratterizzazione sulla base dei dati ottenuti, dopodiché creeremo un picco di impianti pilota per valutare l’efficienza depurativa dei substrati”.
L’utilizzo della cenere come substrato, ci illustra il docente, garantisce tre vantaggi: “Innanzitutto sfrutteremmo delle ceneri che al momento creano problemi di smaltimento. Inoltre, eviteremmo di prelevare questi materiali dalle cave aggredendo il territorio. E poi c’è un beneficio aggiunto: le ceneri vulcaniche hanno elevate capacità di assorbimento degli inquinanti, quindi potrebbe essere un’idea innovativa e sostenibile per la realizzazione degli impianti“.
La cenere nell’edilizia: il progetto dell’Università di Catania
Cenere e lapilli dell’Etna hanno anche diverse applicazioni in campo edilizio. Se ne sta occupando l’Università di Catania con il progetto REUCET (Recupero e utilizzo delle ceneri vulcaniche etnee), finanziato dal Ministero dell’Ambiente.
Il progetto coinvolge diversi dipartimenti dell’ateneo ed è coordinato dal professore Paolo Roccaro, responsabile scientifico. Diverse le possibilità di impiego proposte, dall’utilizzo della cenere come calcestruzzo fino a soluzioni in cui viene utilizzata come adsorbente per ridurre l’inquinamento. Inoltre, i ricercatori valutano l’utilizzo dei prodotti esplosi dal vulcano per la realizzazione di malte, intonaci e pannelli isolanti grazie alle proprietà di isolamento termico date dall’elevata porosità di questi materiali.
Anche in questo caso, sono utilizzi che consentirebbero di sfruttare tonnellate di cenere vulcanica. In questo modo, si crea valore aggiunto per il territorio e si risparmiano decine di migliaia di euro per lo smaltimento di un prodotto che la normativa attuale classifica ancora come “rifiuto”.
Souvenir e opere d’arte di cenere
Un ultimo utilizzo della cenere vulcanica è dato dai prodotti “ad alto valore aggiunto”. Qualche tempo fa, un produttore di avocado e altra frutta esotica di Catania ha avuto l’idea di spedire insieme ai suoi prodotti anche un sacchetto pieno di cenere dell’Etna. Un souvenir che, a suo dire, era stato richiesto dai suoi stessi acquirenti.
Se questa idea originale aiuterà i commercianti, nelle scorse settimane i catanesi hanno dato sfogo anche al loro estro artistico. Al posto di pulire subito il balcone dalla cenere, infatti, in molti hanno spaziato con la creatività. E così, in una zona dove le nevicate vere si contano sulle dita di una mano, giocare con la “neve nera” è stato un modo per esorcizzare l’esasperazione causata dalle continue eruzioni.
Scritte, disegni, esclamazioni umoristiche in pieno stile catanese hanno riempito le bacheche dei social, assieme a opere d’arte che hanno catturato l’attenzione di molti. È il caso del volto di donna disegnato da Angelika Antonella Finocchio sul proprio balcone. C’è, poi, chi ha voluto omaggiare Sant’Agata, raffigurandone il viso. Infine, alcuni artisti locali attraverso una tecnica mista di olio e cenere realizzano dei quadri utilizzando le sfumature di nero e grigio eruttate dalla tavolozza del vulcano. Tutte opere e spunti che possono essere sviluppati, creando sempre nuovi modi per valorizzare un rifiuto anche dal punto di vista artistico e turistico.