Civita
Iniziamo da una delle zone più antiche di Catania, quella della Civita. Il nome sembrerebbe derivare dal latino civitas, cittadella, ed era già in uso ai tempi della Katane pagana, quando indicava uno dei quattro nuclei autosufficienti che formavano la città. Qui, in corrispondenza del porto, abitavano i nobili e i ricchi. Durante il X secolo, quando la Sicilia si trovava in mano araba, il quartiere venne ripopolato dai nuovi dominatori, ma il suo nome si attestò in maniera definitiva solo nel ‘500, quando vennero costruite le mura difensive sotto l’egida dell’imperatore Carlo V.
La Civita divenne quindi una sorta di cittadella fortificata a difesa del resto dell’abitato, ma subì diversi stravolgimenti nel corso dei secoli. Mutamenti avvennero sia durante l’eruzione del 1669 che durante il terremoto del 1693, ma fu l’uomo a incidere in maniera più significativa sull’aspetto della zona. Dopo l’Unità d’Italia, qui vennero costruiti gli Archi della Marina e la linea ferroviaria che ci passa sopra, donando al quartiere una fisionomia più simile a quella attuale.
Fortino
Alla stessa altezza, ma nella zona occidentale della città, si trova il quartiere del Fortino, nome da tutti associato alla maestosa Porta Garibaldi che si erge a conclusione dell’omonima via. In realtà, dietro la parola che dà il nome al quartiere si cela un’interessante storia di stratificazione linguistica.
In origine, la zona doveva il suo nome a una fortificazione costruita dal viceré Claude Lamoral I di Ligne dopo l’eruzione del 1669. La lava aveva distrutto le fortificazioni medievali presenti nella zona e la città si trovava così esposta ad attacchi esterni, provenienti all’epoca soprattutto dai pirati turchi.
Delle fortificazioni oggi è rimasto ben poco, solo una porta in via Sacchero, così il nome Fortino è passato a indicare la Porta Ferdinandea, costruita nel 1768 per commemorare le nozze di re Ferdinando III di Sicilia e Maria Carolina d’Asburgo-Lorena. Una volta scomparsi gli antichi dominatori, tuttavia, l’arco trionfale che celebrava le nozze regali venne dedicato a Garibaldi, nel 1860.
Intorno alla Porta un tempo si teneva un mercato ortofrutticolo a cui partecipavano i piccoli commercianti etnei, dai carramatti dei paesi vicini e della piana, ai nichilittari, rivenditori di ferraglia varia, ai massari. Accanto all’operosità e all’anima commerciale che da sempre distingue Catania, circolavano storie come quella di Puddu Cisca, famoso borsaiolo in attività ai tempi del mercato.
Ognina e Picanello
I due quartieri corrispondono grossomodo alla seconda municipalità della città metropolitana, ma la circoscrizione racchiude un’area vasta e ben poco omogenea, i cui nuclei più antichi sono Ognina e Picanello.
In un testo a cura del professore Enrico Iachello e di Antonino Indelicato, intitolato Conoscere Catania, il nome Ognina viene fatto risalire al fiume Lòngane, che sgorga a Cifali, sul fianco della collina San Sofia. Lì si trova ancora il lavatoio di Cibali, ma il fiume è stato completamente sotterrato dall’eruzione dell’Etna del 1381. Il corso d’acqua, tuttavia, non si è estinto. Attraversa Catania scorrendo sotto gli edifici e sbocca proprio a Ognina, dove si trovano alcune polle d’acqua dolce. Il nome Ognina ha anche un’altra derivazione, Lògnina, riconducibile al termine Longone, che indicava i punti d’ormeggio delle banchine portuali e i porti provvisti di pietre forate per l’approdo delle navi.
Malgrado il porticciolo di Ognina sia il più antico della città, tanto che secondo la tradizione omerica Ulisse sarebbe sbarcato proprio qui, la cultura marinaresca è scarsamente presente nella toponomastica del luogo, eccezion fatta per via dei Conzari, in riferimento all’attrezzo del conzo usato dai pescatori. Rimangono ancora ben visibili, a Ognina e in piazza Europa, le “garitte”, vedette spagnole collegate tra loro tramite un sistema di segnalazioni che arrivava fino al campanile del Duomo, indispensabili per segnalare eventuali pericoli dal mare.
Per quanto riguarda il nucleo di Picanello, Iachello e Indelicato indicano come origine il greco ‘peghé’, ‘fonte’, da qui “piccola fonte”, per la ricchezza d’acqua della zona. Altri, invece, fanno risalire il nome del quartiere al catanese antico. L’etimologia in questo caso sarebbe Fico snello e si riferirebbe all’abbondanza di alberi di questo tipo quando il quartiere era solo un mucchio di case rurali.
Con l’espandersi della città, nella zona vennero costruite verso la fine del 1800 numerose case di villeggiatura da nobili e benestanti. Diverse le abitazioni in stile liberty ancora oggi presenti, dal palazzo di piazza Duca di Camastra, alla palazzina Tringali, alla villa Marchese. Oggi la fisionomia del quartiere è in parte cambiata, ma le vecchie abitazioni rimangono a testimonianza dell’antico splendore.
Ognina, com’era e com’è: l’evoluzione del borgo marinaro di Catania
Borgo
Le origini di questo quartiere di Catania sono note e storicamente accertate. Risalgono infatti a uno dei periodi più duri per la città. Il quartiere era abitato in origine da profughi dei casali di Belpasso e Misterbianco, stabilitisi a nord della città dopo che l’eruzione dell’Etna del 1669 aveva distrutto le loro abitazioni. Fu il vescovo etneo, Michelangelo Bonadies, a donare quei terreni per la costruzione dei nuovi insediamenti. Ventiquattro anni dopo, alla popolazione già presente si aggiunsero le monache scampate al terribile terremoto del 1693.
Il quartiere mantenne fino alla prima metà dell’Ottocento una natura periferica, con piccole case raggruppate intorno a una piazza comune. La piazza che dà oggi il nome al quartiere, invece, era chiamata in origine Piano delli furchi, perché lì venivano impiccati i condannati a morte. Il nome venne cambiato in piazza Borgo nel Settecento e ancora oggi quasi tutti la chiamano così, ma la denominazione ufficiale è piazza Cavour, attribuita allo statista piemontese nel 1876, in pieno spirito Risorgimentale.
Anche la statua della fontana di Cerere, al centro della piazza, ha una storia legata al quartiere e al terremoto che ne innescò l’origine. Venne fatta costruire dal Senato cittadino nel 1757, come simbolo di buon auspicio a seguito del terremoto del 1693, e collocata in piazza Università. I catanesi, tuttavia, non apprezzarono la realizzazione artistica, tanto da danneggiarla più volte. L’opera venne quindi risistemata in un quartiere allora periferico, il Borgo, dove si trova ancora oggi.
La storia della fontana di Cerere: “I catanesi non hanno mai gradito le fontane”
Cibali
Il toponimo di Cibali è un riferimento a un tempio dedicato alla dea greca Cibele, distrutto da un terremoto. A idearlo fu il sacerdote Pietro Carrera, intorno alla metà del Seicento, ma studi successivi dimostrarono che si trattava di un falso storico.
Il nome del quartiere, in realtà, è Cìfali, Cìfuli, in catanese, e gli abitanti venivano detti cifaloti. Il legame con la Grecia, tuttavia, rimane nell’etimologia. Il nome viene infatti da Kephalè (testa d’acqua), dal nome della fonte che sgorgava in quel luogo. Si tratta dello stesso fiume Lòngane che dà il nome al quartiere Ognina, dove sfocia, e che venne sotterrato dall’eruzione dell’Etna nel 1381.
Il quartiere era abitato anticamente, anche prima dell’eruzione del 1669. Ne sono testimonianza diversi luoghi storici: i resti dell’acquedotto agli inizi di via Santa Sofia, la fontana Bonadies e il lavatoio di Cibali, recentemente riqualificato dopo l’incuria degli ultimi anni.
Catania, il lavatoio di Cibali ritorna a splendere: conclusi i lavori di riqualificazione
Zia Lisa
L’ultima tappa di questo viaggio tra la toponomastica di Catania ci porta ad un quartiere periferico e spesso trascurato della città, punto di raccordo tra l’aeroporto Fontanarossa, il centro e alcuni dei rioni più popolosi del capoluogo, come Librino.
Sono diverse le ipotesi sull’origine del toponimo. Alcuni si rifanno all’origine greca Theia Elysia, cioè Divini Elisi, per definire la bellezza delle campagne della zona. In altri casi ci si rifà alla dominazione musulmana e al termine Zisa, cioè palazzo maestoso, poi storpiato dalla bocca popolare in Zia Lisa.
L’ipotesi più affascinante, tuttavia, è quella di Zia Lisa, moglie del proprietario di un fondaco al confine di Catania, la cui bellezza era leggendaria. Si narra che Zia Lisa utilizzasse il suo fascino per conquistare viandanti e carrettieri che passavano dalla zona. Tra gli amanti sceglieva i migliori, ma questi potevano giacere con lei una sola volta. In molti, per la disperazione si struggevano dal dolore o si davano alla vita monastica. Alla straordinaria donna pare che fosse dedicato anche un busto settecentesco di marmo, di cui ci sarebbero testimonianze fino agli anni ‘30. Il volto della Zia Lisa, tuttavia, venne distrutto dai bombardamenti che colpirono la città durante la Seconda Guerra Mondiale.