L'Istat ha avviato un'indagine di sieroprevalenza: la maggior parte degli italiani selezionati per effettuare i test sierologici, tuttavia, non ha risposto positivamente alla chiamata. I volontari tentano di recuperare mentre l'imminente scadenza dei reagenti rischia di causare enormi sprechi.
L’emergenza sanitaria ha spinto l’Istat a realizzare un’indagine di sieroprevalenza che potesse coinvolgere ben 190mila persone. Ai primi 150mila, infatti, sono stati aggiunti in seguito altri 40mila soggetti da contattare con il fine di raggiungere una partecipazione consistente.
In realtà, gli ultimi dati dimostrano come non ci sia stata una reale coincidenza tra previsioni e fatti: solo poco meno di 70mila persone avrebbero risposto positivamente alla chiamata della Croce Rossa Italiana (in collaborazione con l’Istituto di statistica) e deciso di effettuare il test sierologico.
L’indagine, realizzata con lo scopo di ricostruire il percorso del virus, avrebbe dovuto avere anche vita più breve. Se, infatti, è vero che originariamente si aspirava a concludere lo studio entro due settimane, altrettanto innegabile è che lo stesso si sia alla fine protratto per più tempo. Solo la scadenza dei reagenti, fissata fra 10 giorni, potrebbe interrompere l’indagine e decretarne il fallimento. E ciò non può che condurre ad un’unica soluzione: è corsa contro il tempo per contattare o ricontattare gli italiani e convincerli a prender parte all’analisi. Si escluderebbe l’ipotesi (eccessivamente dispendiosa) di far proseguire l’indagine chiedendo una nuova fornitura di reagenti.
Secondo quanto riportato da Il Fatto Quotidiano, l’obiettivo, ovvero raggiungere l’80% del campione teorico, non sarebbe stato raggiunto per diverse ragioni. Oltre le difficoltà delle singole regioni, spicca lo scetticismo o la mancata risposta dei cittadini. Il flop dell’indagine di sieroprevalenza apparirebbe ancor più grave se si considerassero gli ingenti costi: si stima, infatti, che siano stati spesi oltre 4 milioni di euro per realizzarla.
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