Il dramma della famiglia Sortino, residente a Pavia ma originaria del ragusano. Positivi da 50 giorni al virus, hanno bisogno di cure e di attenzioni adeguate per continuare il loro percorso verso la guarigione.
Chiusi in casa da 50 giorni, con sintomi lievi ma non trascurabili, e un forte sentimento di abbandono da parte di chi dovrebbe occuparsi della loro salute. Questa la storia della famiglia Sortino, originaria di Pozzallo, nel ragusano, ma residente a Pavia per motivi di lavoro. A raccontarla nel corso di un’intervista a Fanpage è Francesco, il figlio 24enne, che lavora come operatore socio sanitario nel comune lombardo. Come tanti suoi colleghi, è stato contagiato dal coronavirus e ha trasmesso, purtroppo, alla famiglia, poiché in isolamento domiciliare.
“Abbiamo bisogno di più attenzioni – ha dichiarato alla testata la famiglia – perché a casa si guarisce molto più lentamente, abbiamo bisogno di medicine, abbiamo bisogno delle giuste attenzioni e delle giuste cure come se fossimo in un ospedale perché una famiglia chiusa in casa 50 giorni non è possibile”.
I primi sintomi Francesco li ha sviluppati a fine marzo, ma nell’ambiente in cui lavorava gli dissero che non erano gravi. Solo dal 17 aprile è stato trasferito al Policlinico San Matteo di Pavia a causa di un peggioramento dei sintomi, che ha reso necessario anche l’uso dell’ambulanza e il ricovero in malattie infettive. “Dopo diversi esami e accertamenti – spiega Francesco – il medico mi disse che ero risultato positivo al Covid, come da diversi giorni già immaginavo, quindi chiesi un ricovero umilmente, se era possibile, per non tornare a casa e rischiare di infettare tutta la mia famiglia, anche perché a casa ho un padre di 53 anni cardiopatico con diverse patologie. Due giorni dopo, vengo dimesso dal San Matteo e vengo messo in isolamento domiciliare”.
Pochi giorni dopo, però, sia i genitori che la sorella hanno iniziato ad accusare sintomi riconducibili al coronavirus, anche loro ricoverati per qualche giorno in ospedale e poi dimessi e mandati in isolamento domiciliare. “Ci siamo trovati così tutta la famiglia positiva a dover convivere nella stessa casa ovviamente stiamo in camere separati – racconta Francesco –, usiamo sempre la mascherina in casa, cerchiamo di non avere contatti, viviamo in una situazione brutta e terribile perché non possiamo uscire a fare la spesa, comprare i farmaci che ci servono per curarci. Ad oggi, dopo già 50 giorni, ci troviamo ancora qui in queste condizioni e in questa situazione”.
Nonostante siano passati quasi due mesi, al quinto tampone sia la sorella che il padre di Francesco risultano ancora positivi, come comunicato dall’ATS alla madre dell’OSS. L’appello di Francesco, quindi, è di non abbandonare chi si trova in queste condizioni, non certo per sua volontà. “L’appello che voglio fare alla sanità italiana o a chi di competenza – ha detto Francesco – è quello di non lasciarci soli, di non abbandonarci perché metterci in isolamento domiciliare non significa lasciarci al nostro destino. Abbiamo bisogno di più attenzioni”.
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