A oltre due mesi dall'inizio del lockdown, LinkedIn traccia un bilancio degli effetti dello "smart working" per i lavoratori italiani. I risultati, per molti, sono più ore di lavoro e maggiore stress, mentre l'Ordine degli Psicologi parla di "rischio burnout".
Almeno un’ora in più di lavoro al giorno e il rischio di arrivare al burnout sono, in sintesi, i risultati di un’indagine condotta da LinkedIn su oltre 2.000 lavoratori che in questi due mesi hanno adottato lo “smart working”. Per milioni di italiani è ormai un’abitudine e lo rimarrà adesso che l’Italia entra in piena Fase 2. Tuttavia, è anche una modalità che glissa su alcuni aspetti del lavoro più difficili da monitorare da remoto. E difendere.
“Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi […] che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”. Questa la definizione ufficiale, tratta dal sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Parole che, però, sembrano smentite dai dati raccolti da Linkedin. Tra gli intervistati, infatti, il 46% si sente più ansioso e stressato per il proprio lavoro rispetto a prima. Aumentano, inoltre, le ore di lavoro, con il 48% che dichiara di lavorare almeno un’ora in più al giorno (nell’arco di un mese, vuol dire quasi tre giorni in più).
Tendenze simili vengono confermate da alcuni ex studenti entrati nel mondo del lavoro e intervistati da LiveUnict. “Ho lavorato circa due ore e mezza in più (al giorno, ndr), perché ci sono state delle novità da aggiungere al piano di comunicazione dell’agenzia in cui faccio uno stage”, spiega Francesca.
Anche Giulia, impiegata in un’azienda di servizi ICT, parla di circa due o tre ore in più giornaliere: “essendo a casa e avendo più tempo libero ho sicuramente lavorato molto più del normale, anche perché, non essendo costretta a staccare come in ufficio per via della chiusura, spesso continuo anche fino alle 20-21. Se ho molto da fare, mi è capitato di continuare anche il sabato. Perché mi va, non perché mi sento costretta – specifica –, purtroppo non riesco a stare ferma senza far niente”.
Le cose non cambiano fuori dell’Italia, come conferma Claudio, che ha di recente concluso la sua esperienza di smart working in Francia ed è tornato a lavorare in laboratorio. “Nella ricerca, che è il mio ambito, è difficile anche in laboratorio avere degli orari di lavoro ben definiti – dichiara –. Lo smart working ha annullato la separazione tra l’ambiente di lavoro e quello di casa. Non avendo orari, ho praticamente lavorato ogni giorno l’intero giorno (compresi i weekend!), cercando di completare la sera quello che si era iniziato quella mattina. In questo caso, lavorare di più non equivale a lavorare meglio, semplicemente la gestione del tempo è stata estremamente più complessa”.
Secondo LinkedIn, il 22% dei lavoratori si è reso reperibile online più a lungo, rispondendo più rapidamente. Un altro 22%, invece, ha iniziato le giornate in anticipo. Un aumento di produttività che, però, corrisponde a uno stress psicologico maggiore. Il 21%, infatti, ammette di faticare a staccare la spina a fine giornata. Un altro 36%, invece, ha finto ogni tanto di essere occupato durante il lavoro da casa.
“Non avere una separazione fisica tra il lavoro e la casa rende estremamente più complicato separare il tempo per il lavoro da quello ‘per la casa’”, precisa Claudio, che aggiunge: “il mio supervisor non è stato in grado di percepire la differenza tra lo smart working e il lavoro fisico. Dunque, come faceva prima della quarantena, ha mantenuto il meeting settimanale (con conseguenti deadline); non rispettando, tuttavia, alcun orario e rendendo la giornata ingestibile”.
La sensazione è comune anche a Francesca, che malgrado la permanenza a casa denuncia maggiore stress, dovuto al cambiamento di abitudini e orari. “È stata una semi-tragedia, essendo la prima volta di smart working in vita mia – dichiara –, non per gli strumenti da usare, quanto per l’organizzazione”.
Secondo l’Ordine degli Psicologi, che ha commentato il sondaggio LinkedIn, continuando così c’è il rischio che i lavoratori possano iniziare a provare un senso di burnout. “Le aziende dovranno prevedere azioni di welfare aziendale specifiche (sportelli, voucher, convenzioni) – dichiara Laura Parolin, Vicepresidente dell’Ordine – per il sostegno psicologico ai dipendenti, in modo da assicurare che il loro benessere sia tutelato, e i lavoratori non dovranno temere di far riferimento ai professionisti coinvolti”.
Il lockdown ha sicuramente influito sulla percezione di un maggiore stress, ma gli effetti del lavoro da casa non sono solo negativi. Il 50% dei lavoratori afferma di aver trascorso più tempo coi propri cari. C’è, poi, chi dichiara di aver mangiato più sano (27%) e di aver fatto più esercizio fisico (14%).
“A casa mi è sembrato sempre meno stressante, perché ho avuto più tranquillità per pensare anche durante i problemi”, dichiara Giulia, che non ha sofferto in modo particolare le condizioni di lavoro domestico.
Anche Francesca, malgrado confessi stress e spesso incapacità di gestire tutto, vede i lati positivi del lavoro agile: “Ho cominciato a scoprire il mondo dello smart working, molto utile per nuove eventualità lavorative e bisogni personali”. Infine, Claudio sottolinea una possibilità per gli ambiti lavorativi come il suo, dove lavorare in un team è fondamentale: “Mettere in atto uno smart working con il continuo contatto con i membri del gruppo avrebbe migliorato molto il benessere mentale, ma anche la produttività dei singoli”.
Di fronte alla necessità di lavorare, almeno laddove possibile, lo smart working si è rivelato uno strumento indispensabile in questi mesi. A patto, tuttavia, che non rimanga una soluzione d’emergenza. A oltre due mesi dall’inizio del lockdown rimangono ancora irrisolte numerose lacune che arrugginiscono i meccanismi del lavoro agile. Su queste si dovrà operare nel prossimo futuro, così da raggiungere davvero quell’equilibrio tra tempi di vita e lavoro che viene auspicato nella definizione ministeriale.
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