Parallelamente al veloce espandersi del Covid-19 in tutto il mondo, proseguono senza sosta i tentativi di trovare e sperimentare al più presto un vaccino.
Da più di un mese il nuovo Coronavirus ha cambiato completamente la vita nel Belpaese, in seguito sfortunatamente raggiunto da gran parte d’Europa. Ma, di pari passo all’inesorabile espandersi del Covid-19, sono avanzati gli studi per trovare al più presto un vaccino che potesse contrastarlo. E, finalmente, sembrerebbe che si stia vedendo la luce in fondo al tunnel.
Infatti, come dichiarato all’Adnkronos Salute da Matteo Liguori, managing director di Irbm SpA, “a fine aprile, in virtù dei dati acquisiti nelle ultime settimane, il primo lotto del vaccino messo a punto dalla partnership Advent-Irbm/Jenner Institute/Oxford University partirà dall’Italia per l’Inghilterra dove inizieranno i test accelerati su 550 volontari sani“.
La notizia viene confermata, parlando a una pubblicazione nel Regno Unito, da Sarah Gilbert, professoressa di Vaccinologia all’Università di Oxford sotto la cui responsabilità sono in corso i lavori sul vaccino. Infatti, secondo l’esperta, i ricercatori hanno dichiarato di aver iniziato a vagliare volontari sani (di età compresa tra 18 e 55 anni) da venerdì, per lo studio che avverrà nella regione inglese della valle del Tamigi. Secondo Gilbert, c’è ben l’80% delle possibilità che il vaccino funzioni.
“Si prevede – ha continuato Liguori – di rendere utilizzabile il vaccino già a settembre per immunizzare personale ospedaliero e forze dell’Ordine in modalità di uso compassionevole, dapprima nel Regno Unito e poi, se il governo italiano lo riterrà opportuno, anche nel nostro Paese“.
Il siero, dal nome provvisorio “ChAdOx1 nCoV-19”, “è costruito utilizzando una versione non ‘pericolosa’ di un adenovirus: un virus che può causare una comune malattia simile al raffreddore. L’adenovirus è stato modificato in modo da non riprodursi nel nostro organismo e inserendo all’interno del genoma adenovirale il codice genetico necessario alla produzione della proteina ‘Spike’ del coronavirus, in modo da permettere all’adenovirus l’espressione di questa proteina in seguito alla somministrazione del vaccino”.
In pratica, continua Liguori,“ciò comporta la produzione di anticorpi contro la proteina ‘Spike’ che si trova sulla superficie dei coronavirus. Negli individui vaccinati, gli anticorpi prodotti contro la proteina ‘Spike’, possono legarsi al coronavirus che è entrato nell’organismo umano ed impedirgli di causare un’infezione“.
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