Con una metodologia innovativa nel campo della ricerca scientifica, l’Università di Catania diventa un polo d’avanguardia negli studi sulla quantificazione delle microplastiche. Per la prima volta al mondo, infatti, nei laboratori del LIAA, il Laboratorio di Igiene Ambientale e degli Alimenti di Unict, si possono quantificare le microplastiche di dimensioni inferiori ai 10 µm. Un’invenzione che ha già reso possibile accordi con centri di ricerca e atenei in Italia e all’estero, ma che è nata e cresciuta dentro l’ateneo catanese.
Ne ha parlato con LiveUnict la professoressa Margherita Ferrante, direttrice del LIAA, che ha condotto la ricerca assieme alla prof.ssa Gea Oliveri Conti e al dottore di ricerca Pietro Zuccarello. L’invenzione, già brevettata in Italia, migliora i sistemi di misurazione attualmente in uso. Infatti, con i mezzi precedenti le microplastiche quantificabili andavano dall’ordine del mezzo millimetro all’ordine di qualche centinaio di micron. Qui la novità dello studio catanese, come spiega la ricercatrice: “Il nostro brevetto riesce a vedere le nano e microplastiche. Andiamo da 0,1 micron – da cento nanometri – fino a 10 micrometri, siamo quindi nell’ordine di particelle molto piccole”.
Non si tratta di una differenza solo di dimensioni. Più sono piccoli i frammenti di microplastica, più sono insidiosi. Tuttavia, grazie al nuovo metodo è possibile “vedere quelle micro e nano plastiche che passano all’interno delle cellule – aggiunge la prof.ssa Ferrante -. Mentre particelle di grosse dimensioni presenti nell’intestino o nelle prime vie aeree poi non riescono a passare le varie barriere perché sono troppo grosse e vengono quindi bloccate, queste particelle così piccole, soprattutto quelle nell’ordine di centinaia di nanometri, riescono a entrare anche dentro le cellule e quindi sono quelle che per noi vanno studiate in relazione alla salute dell’uomo e alla salute degli organismi viventi”.
Le microplastiche, come già dimostrato ampiamente, si trovano ovunque, anche dentro il corpo dell’uomo. Stando a una ricerca condotta a livello globale dall’Università di Newcastle, in Australia, pubblicata nel 2019, in media ogni settimana ingeriamo circa 5 grammi di microplastiche, come mangiare una carta di credito. La quantità, naturalmente, varia a seconda del Paese. Ad esempio, sono più soggetti alle microplastiche gli abitanti degli USA che quelli che vivono nell’Unione Europea. Una diffusione così ampia spinge quindi a maggiori studi al riguardo, come a Catania avviene già.
“L’applicazione può essere su qualsiasi tipo di campione, perché il metodo brevettato riesce a fare estrazione delle nanoplastiche da qualsiasi tipo di campione, sia esso un campione di suolo, di acqua, di alimenti, di tessuti viventi – dichiara la direttrice del LIAA a proposito dei possibili usi del brevetto – abbiamo una vasta gamma di applicazioni che possono venire fuori, dalla verifica della qualità dei materiali che devono essere esenti dalle plastiche, se vogliamo orientarci verso un mondo plastic free, al controllo della contaminazione dei compartimenti ambientali, fino agli studi per il monitoraggio e la valutazione dell’accumulo eventuale nei tessuti degli organismi viventi e dell’uomo e quindi valutazione di eventuali danni che possono esserci all’interno dei tessuti, delle cellule, degli apparati”.
A proposito di mondo plastic free, il tema delle microplastiche è tornato in voga a inizio anno, quando in Europa è entrato in vigore il divieto di aggiungere intenzionalmente microplastiche nei prodotti cosmetici e nei detergenti. Tuttavia, se la politica si muove, la vera arma a disposizione dell’uomo è la conoscenza. “Abbiamo già pubblicato uno studio sulle acque minerarie – enumera la docente parlando delle applicazioni del brevetto –, adesso stiamo facendo uno studio sulle acque potabili, stiamo pubblicando uno studio su una rivista internazionale sui vegetali e sulla frutta, stiamo scrivendo uno studio sui pesci nel bacino del Mediterraneo e stiamo lavorando sull’uomo, stiamo cominciando a fare delle sperimentazioni umane”.
Gli studi e le applicazioni possibili del brevetto sono quindi davvero vaste, ma un lavoro così ampio non reggerebbe senza un ottimo coordinamento da parte del personale del laboratorio. Un dato di fatto che si è rivelato fondamentale anche in sede di ricerca, prima della pubblicazione dello studio. “Ci siamo serviti di attrezzature che normalmente sono presenti in un grosso laboratorio, ma la cosa importante è stata l’inventiva dei ricercatori, che sono riusciti a direzionare queste tecniche in modo da sfruttarle in una maniera non usuale“, ha dichiarato la professoressa a proposito del centro che dirige.
Da questa partecipazione, infine, non sono esenti gli studenti universitari. “Nel nostro laboratorio storicamente è presente una grande quantità di studenti. Non solo quelli dei corsi di laurea nei quali io insegno, ma anche corsi di laurea dell’ateneo nei quali non insegno o non ho mai insegnato mandano molti studenti a fare tirocinio da noi”, conclude Ferrante a proposito, chiudendo con una bella storia: “Abbiamo avuto una studentessa alla laurea specialistica di ‘Scienze Agrarie – Igiene e principi di nutrizione’, che ha vinto una borsa di studio con un nostro progetto sulle microplastiche ed è stata finanziata per un anno per svolgere le sue ricerche sulla tesi di laurea. Adesso si è laureata e sta continuando a collaborare con noi su questi temi”.