Deluso dalla Democrazia ateniese, entrata in crisi, Platone dedicò gran parte della sua riflessione ai problemi relativi politica e società, dall’organizzazione dello Stato alla giustizia. Celeberrimo è il dialogo La Repubblica, dove Platone mise nero su bianco i suoi progetti per rendere perfetta la polis, grazie all’educazione dei cittadini, la giustizia più perfetta e l’armonia tra le classi sociali.
Secondo quanto riportano le fonti antiche, con un piccolo riferimento platonico nella Lettera VII – documento autobiografico dove il filosofo scrisse per la prima volta da autore diretto senza più “nascondersi” dietro i protagonisti dei dialoghi – Platone giunse per la prima volta in Sicilia tra il 388 e il 387 a. C. Stando alle testimonianze di Diogene Laerzio e Apuleio, il filosofo attraversò lo Ionio per visitare i crateri sommitali del monte Etna, che in quel periodo avevano prodotto intense attività eruttive. Venuto a sapere della presenza del filosofo nell’isola, il tiranno di Siracusa Dionisio I lo chiamò a corte. Sconosciute sono le modalità dell’invito e dello spostamento dall’allora Katane (denominazione in greco antico della città di Catania) a Siracusa.
Arrivato nella città siciliana, Platone si convinse di poter indottrinare il sovrano, portandolo a diventare il governante filosofo in cui tanto credeva. Con il passare del tempo, però, Dionisio I mostrò il suo vero volto: rozzo e disinteressato alle lezioni del filosofo ateniese, rese illusorio quel lungo viaggio. Ad ogni modo, la prima esperienza sicula di Platone non fu vana, poiché conobbe il giovane principe Dione, cognato e genero di Dionisio I. Il rapporto che i due instaurarono fu molto forte, con il principe che per Platone divenne amico e discepolo. Secondo la critica moderna la loro conoscenza sfociò persino in amore. Addirittura, si dice che il famosissimo dialogo del Simposio sia una reminiscenza del tempo passato con Dione. È certo che in quel periodo il principe mutò il suo comportamento, seguendo tutte le dottrine platoniche e, di conseguenza, insospettendo la corte.
Visto il fallimento del viaggio e per paura di un coinvolgimento totale di Dione nel platonismo, Dionisio I non facilitò il ritorno ad Atene del filosofo. Platone venne catturato, mentre cercava furtivamente di lasciare Siracusa, e rivenduto come schiavo ad una città spartana. Qui, sia per il contesto geopolitico del tempo che per le sue origini ateniesi, rischiò l’esecuzione della pena di morte. A liberarlo sarà l’amico Anniceride di Cirene, che pagò un riscatto e lo fece tornare ad Atene.
In patria, da uomo ormai libero, Platone fondò l’Accademia, dove vi rimase fino al 367, anno dell’entrata di un giovane macedone: Aristotele. A Siracusa il nuovo tiranno era Dionisio II, succeduto al padre appena morto. Secondo Dione, che invitò il filosofo a tornare in Sicilia, il giovane sovrano era pronto a seguire i suoi insegnamenti. In un primo momento, tutto sembrò andare per il meglio. Poco dopo tempo, però, la corte iniziò a cospirare contro Platone e Dione, per paura di un colpo di Stato. Il filosofo ateniese, in modo da evitare conseguenze peggiori, lasciò la Sicilia, portandosi dietro un grande rimpianto.
Nel 361, a testimonianza del grande coraggio che lo animava, Platone tornò per la terza volta a Siracusa. Anche questa volta senza esito. Dione, esiliato ad Atene, progettò una deposizione di Dionisio II dall’Accademia platonica. Giunto in Sicilia mentre Platone la lasciava per sempre, i mercenari riuscirono a deporre il tiranno, consegnando il potere a Dione, che però fu ucciso nel 354. Dionisio II ritornerà sul trono siracusano nel 347, dopo un esilio a Locri, città della madre.
Platone morì ad Atene nello stesso anno, senza la possibilità di vedere la conclusione della guerra civile siracusana. Il fallimento di questi tre viaggi ha scatenato la critica moderna, da Hans-Georg Gadamer a Martin Heidegger: il passaggio dalla teoria alla prassi della città ideale di Platone è pura utopia? Il suo pensiero politico è totalitario? Anche se molte sono le cose da dire, una cosa è certa: nonostante i limiti imposti dalla realtà il sogno platonico è eterno, perché dopo aver superano inerme quasi tre millenni, ancora spinge e induce alla riflessione.