L’amore per la propria terra alle volte non conosce alcun limite e la leggenda di Colapesce, tra le più antiche, conosciute e amate in Sicilia, ne è senz’altro una lampante e commovente dimostrazione. Sebbene si narrino molte varianti del mito, tutte concordano, infatti, sul grande patriottismo e coraggio di questo eroico personaggio, che ancora oggi con forza regge sulle spalle la sua amata Sicilia, impedendole di affondare per sempre nelle profondità marine.
Le origini di questa leggenda non sono ben chiare e, sebbene sembri risalire al XIII secolo, sono molte le teorie secondo cui questo personaggio avrebbe in realtà un’origine molto più antica, addirittura omerica. Nei secoli la leggenda è andata ad arricchirsi di diverse versioni e di elementi nuovi, ma ciò che mette tutti d’accordo è, senza dubbio, l’amore incondizionato per il mare e tutte le sue creature, nonché il grande senso di sacrificio di questa figura mitologica per la propria terra. Ma chi era, dunque, Colapesce?
Figlio di una modesta famiglia di pescatori di Capo Peloro, a Messina, il giovane Nicola, detto Cola, amava il mare e suoi abitanti più di qualsiasi altra cosa al mondo. Per questa ragione trascorreva più tempo in acqua che sulla terraferma, dedicandosi a lunghe immersioni durante le quali esplorava i fondali marini per conoscerne ogni loro più nascosto segreto. Alle volte spariva in mare per interi giorni, nascondendosi all’interno del ventre di grandi pesci.
A causa di questa “stramberia” gli abitanti del suo paese ritenevano che fosse matto, poiché raccontava storie fantasiose sulle creature marine e scoperte incredibili fatte sul fondo del mare. La sua stessa famiglia non lo vedeva di buon occhio, specialmente perché egli aveva l’abitudine di gettare in mare il pescato raccolto dal padre e dai fratelli durante le loro battute di pesca. Egli, infatti, rispettava così intensamente gli abitanti marine da non riuscire a sopportare l’idea che venisse fatto loro del male, ma, così facendo, finì per ridurre la sua famiglia sul lastrico.
Per questa ragione, un giorno, la madre in preda alla collera lo maledisse, augurando al figlio di trasformarsi anch’egli in pesce. Quasi per effetto di quelle parole, con il tempo la pelle di Colapesce cominciò a diventare squamosa e le mani e i piedi presero ad assomigliare sempre di più a delle pinne.
Nonostante la diffidenza della gente, tuttavia, la fama del ragazzo pesce divenne sempre più grande, sino a giungere alle orecchie di re Ruggero, anche se differenti versioni del mito fanno invece il nome di Federico II di Svevia. Il re, incuriosito, volle subito conoscerlo e, a bordo della sua nave al largo di Messina, mise alla prova le capacità di Colapesce.
Gettò, quindi, in mare una coppa d’oro, chiedendo al ragazzo di andarla a recuperare. Colapesce immediatamente si tuffò e dopo qualche ora riemerse dall’acqua con la coppa in mano. Ruggero, sbalordito ma ancora diffidente, volle di nuovo sondare la bravura di quel singolare personaggio e, toltosi la corona, la buttò in acqua. Colapesce in questo caso fece ritorno solo dopo un paio di giorni e con in viso un’espressione piuttosto intristita e preoccupata.
Riferì di aver scoperto che la sua bella Sicilia poggiava su tre colonne, la prima completamente intatta, la seconda appena scheggiata, mentre la terza versava in terribili condizioni, poiché uno spaventoso fuoco sottomarino (probabilmente riferito alla lava dell’Etna) l’aveva quasi del tutto distrutta. Il re non gli credette e gli impose di ritornare giù per riportare a galla delle prove di quanto detto. Colapesce non voleva, così, dopo averlo accusato di essere un codardo, Ruggero gettò in acqua l’anello della principessa.
A quel punto il coraggioso ragazzo decise di immergersi nuovamente, portando con sé un bastone di legno (lenticchie in altre versioni). Se il bastone fosse tornato a galla bruciato senza Colapesce, allora questa sarebbe stata una prova sufficiente dell’esistenza di quel fuoco. Come pronosticato, il bastone tornò in superficie bruciato, ma Colapesce non riemerse mai più. Egli, infatti, restò in mezzo al fuoco per sorreggere la sua adorata Sicilia e, se qualche volte si sente la terra tra Messina e Catania tremare, è soltanto perché Colapesce sta cambiando il lato della spalla con cui sostiene il peso.
Questo bellissimo mito ha, ancora oggi, moltissimo da insegnare e trasmettere, tant’è che non soltanto esso è uno dei più tramandati, ma è stato raccontato anche nei versi di molte canzoni popolari. L’amore di Colapesce per la sua Sicilia e il suo senso di abnegazione, consacrato con il suo sacrificio, dovrebbero ricordare costantemente come questa straordinaria terra abbia bisogno del supporto e della dedizione dei suoi abitanti ogni giorno, così che essa possa essere sempre florida e accogliente.