Alla vigilia del 29 marzo, quella che avrebbe dovuto essere la fatidica data indicata per la Brexit, il Regno Unito è nel caos. Si pensava che questa data avrebbe cambiato la storia dell’Ue, segnando la prima uscita di un paese membro dall’Europa. Pare evidente però ormai che, come minimo, la decisione verrà rinviata. Dal 23 giugno 2016, data del referendum sulla Brexit, ad oggi tante vicissitudini sono intercorse nel tortuoso cammino per l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea. Così tante vicissitudini da far addirittura pensare che forse sto divorzio non s’ha da fare.
Al momento soltanto tanti interrogativi e tanta incertezza sul futuro del Regno Unito all’interno dell’Unione Europea. Uscirà, e se sì secondo quali modalità? Oppure deciderà di fare un passo indietro e restare a far parte dell’Ue? Ha risposto ad alcuni di questi complicati quesiti la professoressa Francesca Longo, docente ordinario di Scienza politica all’Università di Catania ed esperta di Politica dell’Ue.
“La situazione attuale è molto confusa – esordisce la docente – e lo è perché l’art 50 del Trattato Ue quello che ha permesso al Regno Unito di chiedere l’uscita dall’Unione Europea, non regolamenta le fasi successive del recesso, se non dicendo che entro due anni bisogna raggiungere un accordo, altrimenti vi è un ‘no deal exit’ cioè un’uscita senza accordo, che comporterebbe un’immediata trasformazione del Regno Unito da Stato membro Ue a Stato terzo.”
L’art 50 del Trattato dell’Unione Europea, introdotto con il Trattato di Lisbona nel 2009, permette, infatti, per la prima volta agli Stati membri di recedere dall’Unione. Esso stabilisce ai paragrafi 1 e 2 che: “Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione. Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio europeo. Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l’Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione.”
In effetti, dopo il referendum popolare in cui quasi il 52% dei votanti in Inghilterra ha votato favorevolmente per l’uscita, il passo successivo del Governo guidato da Theresa May è stato quello di concordare con Junker, presidente della Commissione Europea, un accordo Ue-Uk per la Brexit. L’accordo è stato raggiunto, ma sottoposto due volte al Parlamento inglese, è stato ripetutamente rifiutato. “È in questo modo che la Brexit sta mettendo in crisi non solo e non tanto l’Ue ma il Regno unito stesso, non solo nelle sue relazioni con l’Ue ma anche nel rapporto tra poteri interni – spiega la professoressa Longo ai microfoni di LiveUnict. Abbiamo assistito a cose che non erano mai successe nel sistema politico interno: il Parlamento che vota e avoca a sé il potere di fare un accordo, i ministri della maggioranza che votano contro le mozioni del Governo ed esiste un’indefinitezza assoluta del programma, cioè non si vede da nessuna parte né opposizione né nel governo un chiaro progetto per la Brexit.”
Una simile situazione di confusione e incertezza non permette facilmente di capire quali saranno i prossimi capitoli di questa storia. Diversi scenari possibili, alcuni più probabili, altri meno potrebbero essere avanzati sul futuro del Regno Unito e per la sua permanenza dell’Ue. Ma qui il condizionale è certamente d’obbligo.
“Il primo scenario che è forse il più improbabile, anche se formalmente è quello che dovrebbe avvenire a breve, è l’uscita senza accordo – prosegue la docente. Il famoso ‘No Deal.’ Lo considero altamente improbabile, non solo perché il Regno unito sta dimostrando di aver capito che un no deal exit sarebbe estremamente costoso ma anche perché c’è grande disponibilità e apertura da parte dell’Ue. Si sta cercando di dare la possibilità all’Inghilterra di fare le scelte migliori e meno costose.”
Anche se non escludibile, quindi, al momento, l’uscita senza accordo sembrerebbe essere l’ipotesi più remota. Il secondo scenario è quello di un’uscita con accordo. Accordo che però al momento, come ci ha spiegato la docente, proprio per la crisi nel sistema politico interno della Gran Bretagna sembra difficile configurare. L’ipotesi del rinvio della Brexit, quale suggerita dagli articoli più recenti dei media, non è quindi da escludersi, ma trovare un accordo che vada bene al Parlamento (cosa che finora non è successa) non è semplice.
“Al momento – chiarisce la professoressa – dentro il sistema inglese non si capisce esattamente che tipo di accordo vorrebbero, non esiste una posizione forte e unica che possa chiarirci che cosa si propone in alternanza all’accordo May-Junker rifiutato finora dal Parlamento inglese. L’Ue è stata chiara nell’aprirsi e rispondere positivamente alla possibilità inglese di rimandare la decisione, ma ha allo stesso tempo chiaramente detto di essere disposta ad accettare proroghe solo se esiste un chiaro progetto, al fine di evitare di arrivare alla nuova scadenza ancora in un punto di stallo.”
Qualora la Brexit ci sia realmente, uno degli aspetti che maggiormente preoccupa riguarda il futuro degli italiani (ed europei) residenti in Inghilterra e coloro che vorranno successivamente partire per studio o lavoro nel Regno Unito. Che fine farà la libertà di circolazione e di stabilimento alla quale siamo tanto abituati?
“Anche questo aspetto fa parte dell’eventuale accordo – spiega ancora la docente. – Probabilmente si farà una distinzione tra chi già lavora e ci studia e chi vorrà andare in un secondo momento, a Brexit avvenuta. Chi già è lì non dovrebbe in teoria avere problemi. I problemi però potrebbero esserci in futuro, perché se la Brexit ci sarà, andare a studiare o lavorare in Inghilterra sarà come farlo in un paese terzo. Lo si può fare ma a condizioni differenti, proprio come quando interviene un divorzio e il figlio deve rispettare le leggi del giudice per le modalità in cui far visita alla casa del genitore con cui non risiede. In questo scenario, tuttavia, è il mondo accademico ad essere più preoccupato perché sicuramente il Regno Unito (se l’accordo non verrà ripensato) verrà tagliato fuori da tutti i finanziamenti di ricerca e dall’Erasmus stesso.”
Il terzo scenario è infine quello della non uscita. Infatti, dal referendum ad oggi sembrerebbe che molti inglesi ci abbiano ripensato, cambiando idea sulla Brexit. Questo cambiamento sempre più di massa è probabilmente dovuto alla cattiva informazione fatta in origine dalle élites politiche. “Molto dell’antieuropeismo che c’è in Inghilterra come in tutta Europa – ribadisce la docente – è dovuto alla cattiva e scarsa informazione che c’è e che i politici hanno fatto nelle popolazioni a cui si aggiunge l’uso scellerato che i governi hanno fatto dell’Europa come se fosse un paese terzo, un mostro un sovrano cattivo per giustificare scelte e posizioni poco popolari all’interno. Solo adesso gli inglesi si stanno rendendo conto di quello che la Brexit comporterebbe per le loro economie, per le loro vite, per le loro famiglie e chiedono legittimamente un passo indietro.”
Una petizione online lanciata negli scorsi giorni in Inghilterra per chiedere di non uscire dall’Ue ha raggiunto in poco tempo circa 5 milioni di firme. Presentata al Governo, la petizione è stata rifiutata nella giornata di ieri. Ciò che cosa significa? Necessariamente allora avverrà la Brexit? “Non necessariamente perché il terzo scenario che è quello del ritiro della domanda di uscita, attraverso la disattivazione dell’articolo 50 passa da una crisi di governo. Il governo attuale dovrebbe dimettersi, e all’interno del sistema politico dovrebbe formarsi un’altra maggioranza e un nuovo governo, che potrebbe ritirare la domanda d’uscita dall’Ue”, conclude la docente, azzardando a dire che quest’ultimo scenario potrebbe andarsi a configurare già nelle prossime settimane.
“Il Regno Unito dovrebbe restare un membro dell’Unione europea o dovrebbe lasciare l’Unione europea?” – forse è tornando a porre questa domanda, che il popolo del Regno Unito, con una nuova e maturata consapevolezza, potrebbe decidere di dare un’altra risposta alla Brexit.