Gender gap, Italia: donne pagate meno degli uomini, ma sono più istruite

La disparità di genere è ancora una questione quanto mai attuale. Anche se sono passati oltre 40 anni dalle rivendicazioni femminili per il raggiungimento dell'uguaglianza retributiva tra donne e uomini, che sconvolsero l'Inghilterra degli anni 70, il cammino delle donne nella strada dell'uguaglianza di genere nel mercato del lavoro e nella vita sociale è ancora lungo.

Esistono ancora oggi, nei paesi economicamente sviluppati, rilevanti differenze tra uomini e donne riguardo le loro situazione in ambito economico e sociale. Per fare una stima quanto più precisa del gender gap esistente nei vari paesi dell’Unione Europea, occorre tenere conto di diversi indicatori, relativi al settore dell’istruzione e a quello del mondo del lavoro.

Partendo dal tasso di istruzione terziaria, vale a dire quella universitaria, le ultime statistiche Eurostat rivelano nel complesso l’esistenza di un divario di genere a svantaggio per gli uomini dai 30 ai 34 anni. Nel 2016, infatti, la percentuale di donne tra i 30 e i 34 anni che avevano conseguito il livello di istruzione terziaria superava quella degli uomini di 9,5 punti nella media dell’UE a 28. Tutti gli stati membri dell’Unione, ad eccezione della Germania, dove il tasso d’istruzione terziaria maschile era solo di poco superiore a quello femminile, hanno registrato un divario di genere negativo per quanto riguarda l’istruzione terziaria. Il paese con il maggiore divario di genere in termini assoluti risulta essere la Lettonia con -26 punti percentuali: il che significa che il tasso d’istruzione terziaria delle donne confrontato con quello degli uomini è il più alto di tutta l’Europa.

L’Italia, secondo l’ultimo Rapporto della Commissione Europea, non solo ha nel 2016 una quota di laureati tra i 30 e i 34 anni (il 26,2%) inferiore alla media dell’Ue (39,1%), ma registra anche una forte disparità di genere sul totale dei laureati, che vede pochi giovani maschi laureati, il 19,9%, contro il 32,5% delle donne.

Spostando l’attenzione sugli indicatori inerenti il mercato del lavoro, con particolare riferimento al tasso di occupazione, scopriamo ulteriori dimensioni della disparità di genere. Il divario occupazionale di genere, definito come la differenza tra i tassi di occupazione di uomini e donne in età lavorativa (20-64 anni), nel 2016 raggiungeva una media pari a 11,6 punti percentuali per l’UE a 28. Ciò significa che la percentuale degli uomini occupati superava quella delle donne occupate nel complesso in tutta l’Europa.

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È chiaro, però, che esistono diverse differenze tra gli stati. Il divario più basso è stato registrato in Lituania (1,9 punti), dove il tasso di occupazione femminile era pari a 74,3%, mentre quello maschile era pari a 76,2%. Gli stati invece che hanno registrato un divario occupazionale di genere più elevato sono Italia (20,1 punti), con un tasso di occupazione femminile pari al 51,6% contro quello maschile pari al 71,7%, e Malta(27,7 punti) con un tasso di occupazione femminile pari al 55,5% contro quello maschile pari al 83,2%. Il maggiore divario di genere a svantaggio delle donne in questi casi è dovuto in gran parte alla minore partecipazione di queste nel mercato del lavoro.

Tuttavia, il tasto dolente della questione dell’uguaglianza di genere continua ad essere la dimensione relativa alle distribuzioni e alle differenze salariali tra donne e uomini. Secondo gli ultimi dati completi dell’Eurostat, risalenti al 2014, i guadagni orari lordi delle donne sono stati in media del 16,2% inferiori a quelli degli uomini. Ciò significa che in tutta l’Europa, nel complesso, le donne guadagnano meno all’ora rispetto agli uomini. Il divario retributivo di genere varia però notevolmente tra gli stati membri. Nel 2014, il divario retributivo di genere variava dal 4,5% in Romania, al 6,1% in Italia, al 20,9% nel Regno Unito, al 22,3% in Germania e per ultimo in Estonia, dove raggiungeva il 28,1%.

Importanti differenze retributive si vedono, però, anche dal punto di vista del contratto di lavoro se part-time o full-time, a seconda dei settori occupazionali, e a seconda se l’impiego è nel settore pubblico o nel privato. In Italia, dall’ultimo rapporto Almalaurea del 2017, emerge che tra i laureati magistrali biennali che sono occupati a tempo pieno dopo la laurea, il differenziale salariale tra uomini e donne è pari al 19%, a favore dei primi che guadagnano in media 1637 euro, contro i 1375 euro delle donne. I divari retributivi sono più bassi nel settore pubblico e per quanto riguarda gli impieghi a tempo pieno.

Tuttavia, il gender gap retributivo in Italia, che vede le giovani laureate meno retribuite in tutti i settori occupazionali, si accompagna anche a un divario occupazionale di genere elevato che interessa le laureate nell’accesso alle professioni ad alta specializzazione. A cinque anni dal titolo magistrale è il 47% delle donne a svolgere un lavoro altamente specializzato, contro il 56% degli uomini. Ciò conferma una tendenza generale largamente diffusa, che penalizza le donne nel raggiungimento degli incarichi più importanti nel mondo del lavoro, quali ad esempio ruoli dirigenziali e gestionali.

Il quadro italiano circa il raggiungimento della parità di genere risulta parecchio aggravato anche a causa del sistema di welfare e del sistema familistico vigenti. Non bisogna trascurare, infatti, il fatto che il modello di famiglia italiana, soprattutto al Sud, è ancora largamente imperniato sul ruolo della donna, come unica responsabile dei servizi di cura e di assistenza ai figli e agli anziani. In presenza di welfare, in cui prevalgono i trasferimenti monetari, per lo più pensionistici, a discapito dell’erogazione di servizi di cura, ma anche in virtù di fattori culturali radicati, la donna si trova in una posizione estremamente delicata. Oltre a lavorare, perché spesso un solo reddito per famiglia non è sufficiente, la donna deve portare su di sé anche il carico dei lavori familiari e domestici, non retribuiti.

È questa una delle ragioni per cui le donne spesso, potendolo fare, scelgono un impiego part-time, che consenta loro di conciliare la vita lavorativa con quella familiare. In Italia, secondo le ultime stime dell’Ocse, le donne dedicano un totale di oltre 5 ore al giorno per i lavori non pagati, che comprendono sopratutto i lavori domestici e la cura dei bambini e degli altri componenti della famiglia. Gli uomini ve ne dedicano invece poco più di 2 ore: in particolare mentre le donne impiegano in media tre ore al giorno per i lavori domestici, gli uomini ne impiegano appena una.

Sofia Nicolosi

Sofia Nicolosi nasce a Catania il 16 settembre 1997. Laureata in Relazioni internazionali, sogna di poter avere un futuro nel giornalismo e nella comunicazione in ambito europeo e internazionale. Dopo la scrittura e lo storytelling, le sue grandi passioni sono i viaggi e lo sport. Tra i temi a cui è più legata: i diritti umani e i diritti sociali, l'uguaglianza di genere e la difesa ambientale. Contatti: s.nicolosi@liveunict.com

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