Un cantautore e un poeta in tour insieme. Sembra l’inizio di una barzelletta, ma è l’originale esperimento di Giuseppe Peveri (in arte Dente) e di Guido Catalano, cantautore emiliano e poeta torinese, che insieme – sotto la regia di Lodo Guenzi de Lo Stato Sociale – hanno messo su uno spettacolo inedito da portare in giro per l’Italia.
Gli interrogativi, al momento dell’annuncio delle date del tour, non sono pochi. “Non un reading, non un concerto, non una commedia dialettale e nemmeno uno spettacolo circense”, ci tengono subito a specificare i due. Ma allora che cos’è? Per scoprirlo, siamo andati a vederli sabato 27 gennaio al Ma di Catania per la quarta tappa di questo tour.
Sulla qualità e lo spessore della serata non v’era alcuno dubbio. Chi è fan di Dente, chi di Catalano, e chi di entrambi, sa benissimo di trovarsi davanti ad artisti singolari, dotati di grande raffinatezza e sensibilità difficili da ritrovare nel panorama italiano contemporaneo. Ma, rotacismo a parte, la domanda che sembra palesarsi sul viso di tutti prima dello spettacolo è: cos’hanno questi due artisti in comune? E cosa dobbiamo aspettarci?
Gli unici indizi per orientarci nello spettacolo ci provengono da Catalano stesso che, sui social, ci consiglia di portare una penna da casa, corredata da una cartolina distribuitaci all’ingresso, e da una scenografia perfettamente simmetrica pronta ad accoglierci in sala: un pianoforte e un bicchiere di vino bianco da una parte; una libreria e un bicchiere di vino rosso dall’altra. Al centro, due sedie e un tavolino.
Il primo a salire sul palco è Dente che apre lo serata con un pezzo che non può sbagliare il tiro: A me piace lei, singolo estratto dal terzo album del cantautore, che scioglie il pubblico fino a quel momento in trepidante attesa. Silenziosamente, Catalano prende posto dalla parte opposta del palco e, a fine canzone, risponde al collega con la poesia Sono un poeta, cara.
Dopo un paio di botta e risposta a suon di musica e poesie, si intuisce come lo spettacolo tirerà avanti fino alla fine della serata: una sorta di ping-pong, con i due artisti a passarsi continuamente la palla, intratterrà il pubblico con i cavalli di battaglia di entrambi. Punto di contatto il tema della serata: l’amore. Un amore raccontato in maniera ironica a volte, e in maniera comica ad altre.
La cosa sorprendente dell’esibizione messa in piedi da Dente e Catalano è che, nonostante entrambi gli artisti portino sul palco i propri successi, approcciandosi con il pubblico in maniera diversa, le due parti non rimango mai totalmente separate dando vita a un crescente dinamismo assicurato da dialoghi divertenti (nota di merito a Dente che interpreta Gesù) e riflessioni, tra il serio e il faceto, su poesia e musica con riferimenti sempre attuali.
Il pubblico sembra rispondere bene. E se è vero che non si può fare a meno di cantare in coro Baby building e Buon appettito di Dente, è anche vero che i momenti di maggiore interazione col colorito pubblico catanese arrivano con gli spazi dedicati a Guido Catalano i cui versi irriverenti e originali strappano commenti e risate per tutta la serata: apprezzatissime le poesie Si può morire di ciliegie? e Malincogatto, portami via.
Con brevi pause riempite da registrazioni in cui la voce di Lodo Guenzi ci fornisce indicazioni sui retroscena dell’esibizione e qualche dettaglio in più su questa felice unione, lo spettacolo comincia presto a ingranare, svelando l’idea che vi risiede dietro e il punto di incontro tra i due artisti.
In particolare, sarà un momento chiave a rivelare forse il senso dell’intera performance: preparatosi a leggere un suo scritto, Catalano recita invece i primi versi di Vieni a vivere, singolo storico di Dente, che definirà una vera e propria poesia. Completerà il cantautore, cantando il ritornello del pezzo in un momento che vedrà finalmente riunite quella musica e quelle parole protagoniste dell’intero spettacolo.
Perché sì, man mano che lo spettacolo si snoda, quella linea di confine iniziale tra cantautore e poeta diviene sempre più indistinta, raggiungendo una vera e propria fluidità in alcuni momenti dove non si saprà più se quella che si sta ascoltando è una canzone o una poesia. Per comprendere finalmente, forse, che non v’è distinzione e che quello spettacolo altro non è che una celebrazione della Parola.
Una parola che si presenta delicata, discreta, sommessa e pulita nel caso di Dente e che diventa diretta, irriverente e dai mirabolanti giri sintattici con Catalano. Una parola che, servendosi del verso e della note, sarà oggetto e soggetto della discussione con dialoghi in cui si rifletterà anche su cantautori e poeti del passato con riferimenti da Ungaretti a Baglioni, da Leopardi a Brunori, che strapperanno qualche risata a tratti e che apriranno dei momenti di riflessione ad altri.
A concludere lo spettacolo sarà un momento di interazione con il pubblico: le cartoline distribuiteci all’inizio voleranno da una parte all’altra della sala e, anche in questo caso, il confine tra pubblico e poeti si farà labile.
Con una canzone (Beato me), una poesia (Teniamoci stretti che c’è vento forte) e una serie di utilissimi consigli per le prossime ventiquattro ore, si conclude così uno spettacolo che, finalmente, sfugge a qualsiasi definizione: uno spettacolo che è un concerto, è teatro, è cabaret e, allo stesso tempo, non è nessuna di queste cose. Uno spettacolo che, al di là delle etichette, sa come far breccia nel cuore del suo pubblico in maniera accurata, originale e mai banale.