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Italia ed Europa: cosa ci aspetta per il 2018? Risponde la prof.ssa Longo

Nel 2017 il mondo ha assistito a grandi inizi e a grandi conclusioni. È stato l’anno d’insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, della Brexit, della disfatta, almeno territoriale, dell’ISIS, giusto per ricordare alcuni dei grandi avvenimenti che hanno tenuta desta l’attenzione dell’opinione pubblica occidentale. Ma cosa ci aspetta nel mondo che verrà?

L’anno appena conclusosi ha lasciato in eredità delle trasformazioni ancora in germe, in una fase embrionale che solo il tempo potrà coltivare, finché non scopriremo cosa sboccerà nel prossimo futuro. In attesa che i tempi siano maturi a restare sono speranze, attese, dubbi; proprio partendo da quest’ultimi, con uno sguardo alla storia più recente, è possibile lanciare delle previsioni sui giorni a venire. È quello che abbiamo provato a fare assieme alla professoressa Francesca Longo, docente ordinario di Scienze Politiche presso l’Università di Catania, dove insegna Politica dell’Unione Europea.

Il primo, grande interrogativo che si pongono tutti gli italiani, è chi governerà a partire dal 4 marzo 2018, giorno per cui sono state indette le elezioni governative. Il Paese non offre grandi garanzie sul piano della stabilità politica, caratterizzato da un tripolarismo in cui ai vertici figurano M5S, centro-destra e centro-sinistra.

L’instabilità, spiega la professoressa, rischia di realizzare una serie di “scenari abbastanza preoccupanti. L’UE, ormai da qualche anno, ha trovato un modello di gestione delle crisi che ha ridato molta forza ai governi nazionali degli Stati membri rispetto alle istituzioni comuni. In questo quadro un Paese instabile, come l’Italia appare, è un Paese che rischia di restare fuori dalle decisioni, di restare in secondo piano. Il rischio politico altissimo è quello di annullare il ruolo che ha l’Italia all’interno dell’Unione”.

D’altro canto, quello politico non è l’unico versante sul quale l’Italia rischia di affondare. “Ci sono anche rischi economici molto forti, perché, soprattutto in un momento in cui l’economia europea sembra avere intrapreso la via dell’uscita dalla sua crisi, l’instabilità politica interna potrebbe determinare una ricaduta dell’Italia, un esempio tra tutti facendo di nuovo aumentare lo spread”, spiega la prof.ssa Longo

Il destino del nostro Paese, tuttavia, non si gioca soltanto sulla carta elezioni. L’opinione pubblica europea negli ultimi anni è stata capillarizzata dal dibattito intorno alla questione migranti, in cui l’Italia ha un ruolo fondamentale. Gli accordi con il Niger e con governo e tribù libiche, sommati al codice di condotta imposto alle Ong, hanno fatto segnare per il 2017 un significativo calo degli sbarchi.

Tuttavia la strategia di chiusura italo-europea ha un costo umanitario altissimo e alimenta terribili violenze su migranti e rifugiati detenuti, specie in Libia. Le possibilità di vedere un repentino cambiamento di rotta da parte dell’UE, nonostante ciò, sono poche. “La questione migranti è una delle più scottanti all’interno dell’Unione. – ci spiega la docente – È vero che c’è una frattura est-ovest su questo tema, con i paesi di Visegrad, soprattutto Polonia e Ungheria, schierati in maniera determinata contro ogni possibile ipotesi di accoglienza, ma è anche vero che neanche i Paesi occidentali sono molto più aperti; pensiamo alla Francia, per esempio, che ha già dichiarato di non volere migranti economici”.

Il ruolo dell’Italia è determinante in questo senso, e “proprio negli ultimi giorni è stato annunciato un piano di corridoi umanitari, a mio avviso quello che meglio riuscirebbe a bilanciare il rischio di esacerbare i populismi, e tuttavia una politica di apertura rischia di fomentare ancor di più, non solo in Italia ma in Europa, il discorso populista.”

L’accordo con la Libia, ad ogni modo, “non può essere lo strumento con cui si gestisce in maniera intelligente e lungimirante il tema delle integrazioni.” Perseguendo su questa strada, il rischio concreto è quello di “appaltare il governo dei flussi migratori a gruppi criminali organizzati e non”.

La questione migranti, nonostante divida gli animi all’interno della Comunità Europea, non è il tema più dibattuto. Le fratture in Europa ci sono già e rimarranno anche per il 2018, parola della prof.ssa Longo, secondo la quale: “sono legate, oltre all’immigrazione, soprattutto alla gestione delle politiche monetarie, chiamiamola frattura Nord/Sud tra i Paesi che hanno tradizionalmente molta attenzione alla stabilità dei bilanci e quelli che pressano per un riavvio delle politiche espansive. Questa è una spaccatura che nel 2018 tenderà ad allargarsi perché, finito il momento topico della crisi, la BCE probabilmente comincerà a far risalire i tassi d’interesse, al momento pari praticamente a 0. Aumentando i tassi d’interesse, le politiche monetarie cambieranno”. La divergenza intorno alla politica monetaria si consoliderà “e andrà governata con molta attenzione, perché su questa si gioca, molto più che sull’immigrazione, la divisione dell’Europa”.+

Malgrado le difficoltà in vista, la professoressa sembra scettica sulla possibilità che nell’immediato futuro si verifichino altre fuoriuscite dall’Europa, come accaduto per la Brexit. “Le perdite economiche, sociali e politiche che questo comporta” potrebbero scoraggiare anche gli Stati che in un primo momento pensarono di emulare il Regno Unito. Secondo questo scenario, la Brexit può essere addirittura un’assicurazione che non ci saranno più attivazioni dell’articolo 70, almeno nel brevissimo periodo.

Proprio l’ultimo mese del 2017, in effetti, ha lanciato dei segnali di segno opposto in seno all’Unione. Ad esempio la nascita del progetto “Pesco”, ovvero la cooperazione permanente strutturata nel campo della difesa UE, varata il 14 dicembre dello scorso anno dai 25 Ministri degli Esteri dei Paesi dell’Unione aderenti.

Molti si sono già lanciati in previsioni ottimistiche per la nascita di un futuro esercito comune, ma sembrerebbe il caso di andarci cauti con le speranze. “Innanzitutto,  – continua la docente – in quanto la Pesco non è un progetto di sicurezza europeo, bensì un progetto che dovrebbe facilitare la cooperazione industriale nel campo degli interventi militari; tuttavia, e questo nel 2018 dovrebbe realizzarsi, i 25 Paesi che hanno aderito alla cooperazione strutturata si sono impegnati a lavorare su 17 progetti; tra questi ci sono anche ipotesi, non di esercito comune, ma di unità multi nazionali”. E forse “saranno proprio queste unità ad aprire la via a un processo che potrebbe, ma nel lontanissimo futuro, diventare un progetto di esercito comune”.

Se la nascita di un esercito comune sembrerebbe dover aspettare, nel frattempo l’Europa unita fa passi avanti dal punto di vista della politica estera. Durante l’ultimo mese del 2017, infatti, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha bocciato la decisione di Donald Trump di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Tra i voti a favore della risoluzione ci sono quelli di 25 Paesi dell’Unione Europea, tra cui anche l’Italia. Allo smacco subito dall’Onu, Trump ha fatto seguire delle minacce poco rassicuranti, affermando per mezzo dei suoi portavoce che gli Stati Uniti ricorderanno il giorno in cui la loro decisione come Stato sovrano è stata respinta.

Le dichiarazioni del presidente Usa, secondo il parere dell’esperta, sono segnali di una politica estera fortemente schierata, in cui Trump va via via identificando amici e nemici, “anche tra gli alleati atlantici, perché nel momento in cui lancia minacce ai Paesi che non votano per le proprie posizioni, lancia anche delle chiare indicazioni”. Il posto così (dal punto di vista connotativo) schierato che l’America va prendendo all’interno dello scacchiere mondiale lascia scoperto un ruolo da mediatore, “che gli Stati Uniti non vogliono svolgere più e che invece l’Europa o alcuni paesi europei (Francia, Germania o la stessa Italia) potrebbero guadagnarsi nell’ambito di zone dove continuano ad avere influenze politiche molto importanti“, conclude la prof.ssa Longo.

Domenico La Magna

Giornalista pubblicista, si è laureato in Filologia Moderna all'Università di Catania nel 2020 con una tesi su Calvino e l'editoria. Inizia a collaborare con LiveUnict da ottobre 2017. Appassionato di politica, segue con particolare attenzione i temi riguardanti l’Unione Europea e l’ambiente. Frequenta il Master di 2° Livello in Professione Editoria all'Università Cattolica di Milano.

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Domenico La Magna

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