Succede in Oakland (California), dove il paziente Brian Madeux, affetto dalla rara sindrome di Hunter, è stato sottoposto alla modifica dei geni. Un trattamento innovativo che apre la strada a nuove cure.
La sindrome di Hunter è una rara alterazione metabolica congenita. Coinvolge 1500 – 2000 persone nel mondo e ha un impatto di circa 1:100.000 soggetti nati vivi e viene riconosciuta intorno ai 2–4 anni nei bambini che manifestano ritardo mentale, aggressività, macrocefalia e disturbi dell’umore. Tutti sintomi generici che devono essere attentamente vagliati dai medici prima di arrivare alla diagnosi definitiva. Diagnosi che ha colpito anche Brian Madeux, 44 anni e che ha portato lo chef originario dello Utan a vivere una vita “difficile” per combattere la malattia.
Ma oggi arriva una speranza in più. Non solo per i malati di Madeux, ma per tutte quelle malattie che coinvolgono i geni e che sono difficili da trattare attraverso i farmaci ordinari. La tecnica si chiama “Nucleasi delle dita di zinco.” Il processo è piuttosto articolato. Attraverso un virus veicolare, alterato al fine di non causare infezioni, si introducono nelle cellule le “istruzioni” per modificare il DNA. Miliardi di copie di questo virus vengono iniettate in vena, raggiungono il fegato e qui le “istruzioni” permettono alle cellule di costruire le “dita di zinco” e preparare il gene correttivo. Le dita tagliano il DNA permettendo così al nuovo gene di inserirsi. Una volta completato il processo, il gene correttivo dovrebbe sintetizzare l’enzima che manca al paziente e causa la grave malattia.
Di certo però il trattamento non è esente da rischi e critiche. I rischi sarebbero l’insorgere di tumori, soprattutto leucemie, e la produzione di errori in altre porzioni del genoma. Inoltre la procedura è irreversibile.
Tuttavia, se funzionasse, permetterebbe un risparmio in termini di disagi del paziente, in quanto uno solo di questo trattamento basterebbe per tutta la vita; e un risparmio economico sulle costose procedure mediche attuali (dai 100mila ai 400mila dollari all’anno).
Diverse le critiche di natura etica, giacché la modifica del DNA è una questione spinosa che interessa il mondo scientifico e non solo e che già a livello embrionale è soggetto a dibattiti. Quando è corretto applicare o meno queste tecniche? “Tutto dipende dal contesto” – sostiene Carlo Alberto Redi, direttore del Laboratorio di Biologia dello Sviluppo dell’Università di Pavia – “se lo facciamo su cellule germinali o embrioni starei cauto. Su cellule somatiche o su pazienti con questo contesto di rischio-beneficio, a mio giudizio, se il paziente è correttamente informato, vale la pena provare. La correzione di genomi, ma anche la scrittura di interi genomi rappresenta il futuro della biotecnologia e la speranza di cura per malattie gravissime”.
Idea condivisa non da ultimo anche dallo stesso Brian che dopo una vita passata negli ospedali dice: “Sono disposto a prendere questi rischi. Spero che aiuterà me e altre persone”.
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