L’agenzia internazionale Reuters, in collaborazione con il gruppo di ricerca “Clarivate Analytics” ha recentemente pubblicato il rapporto del 2017 riguardo i 100 atenei internazionali più innovativi. Oltre lo sviluppo tecnologico, la classifica tiene conto delle attività di ricerca scientifica, dei brevetti e degli articoli ad essi relativi, considerando anche le eventuali tecnologie prodotte e come esse influiscono sull’economia internazionale.
La top 100 non riserva grandi sorprese, in quanto per il terzo anno consecutivo primeggiano gli atenei statunitensi nelle tre principali posizioni, con il primato della “Stanford University” nella tecnologica Silicon Valley, seguite dal Massachusetts Institute of Tecnology (meglio noto come MIT) e dall’Università di Harvard. Nelle prime dieci posizioni – pressoché a stelle e strisce – l’Europa è rappresentata dal Belgio con la “KU Leuven University”, che si piazza al quinto posto.
Scorrendo la classifica, gli occhi del lettore non incrociano il nome di nessun ateneo italiano: un risultato che appare pleonastico commentare. Altro dato negativo che emerge dalla classifica è la scarsità degli atenei asiatici, rappresentati entro la ventesima posizione da due università della Corea del Sud. A metà classifica si stabilisce – in ascesa rispetto alle annate precedenti – anche la Cina, sebbene il risultato non possa essere soddisfacente – come non lo è a livello continentale – considerando le grandi potenzialità di ricerca ed investimento, nel XXI secolo, dei paesi asiatici.
Ad accentuare il monopolio occidentale è anche la crisi, nel settore degli investimenti per la ricerca accademica, del Giappone, che guadagna posizioni solo grazie all’ascesa della Kyushu University di Fukuoka. I dati Reuters evidenziano come il numero di pubblicazioni legate all’ambito dell’informatica, per gli atenei giapponesi, sia inferiore al 37%; inoltre, è diminuito del 3% il numero di articoli, frutto della ricerca accademica, pubblicati sulle riviste scientifiche.
I dati parlano chiaro: stavolta l’Italia non raggiunge neanche il fondo della classifica, pur nella sua secolare tradizione accademica e nella sua variegata offerta formativa. La classifica ci amareggia e “raffredda” sempre più le potenzialità internazionali delle nostre università, che i riflettori mondiali rilevano ancora lontane da progresso, investimento tecnologico e rinnovamento istituzionale.
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