Si sono svolte ieri le prime trattative tra l’esecutivo e i sindacati per dare vita alle pensioni minime, riservate ai giovani che andranno in pensione solo con il sistema contributivo.
Inizia a prendere forma la proposta del governo sulle pensioni minime, per garantire ai giovani, che andranno in pensione integralmente con il sistema contributivo, una rete di sicurezza che garantisca loro un assegno minimo da 650 euro, in caso i contributi versati non siano sufficienti a raggiungere questa soglia. Stando alle regole attuali i giovani potrebbero lasciare il lavoro una volta raggiunta l’età pensionabile solo nel caso abbiano maturato una pensione pari a 1,5 volte l’assegno sociale, circa 670 euro, l’idea è quella di abbassare questo tetto a 1,2 volte. Con un sistema di garanzia, come affermato dal ministro Poletti, che assicuri in ogni caso un assegno mai inferiore ai 650 euro, indipendentemente dai contributi versati.
L’intento della pensione minima per i giovani a cui sta lavorando il governo non è altro che quello di costituire una rete di sicurezza per le giovani generazioni, che in caso di assegni pensionistici molto bassi, garantisca 650 euro mensili a chi dovesse lasciare il lavoro dal 2030 in poi, a patto di avere maturato in futuro almeno 20 anni di contributi. L’intervento in materia previdenziale, nasce per la necessità di equilibrare le precedenti norme pensionistiche, che hanno trasformato il sistema italiano da retributivo a contributivo. Il risultato di tali norme, infatti, è che la pensione incassata da chi ha cominciato a lavorare dopo il 1996 sarà inferiore a chi ha iniziato prima. Ma soprattutto le nuove generazioni che hanno iniziato da autonomi o con lavori precari e ripetuti buchi contributivi rischiano di maturare trattamenti molto bassi.
In più a peggiorare la situazione, si è aggiunta la Legge Fornero, che ha introdotto la possibilità di andare in pensione per vecchiaia, cioè dal compimento di una determinata età, o in anticipo sul requisito anagrafico ma in possesso di una determinata anzianità contributiva, a patto però di rispettare certi limiti di reddito. In altre parole, se la pensione che spetta ad ogni lavoratore, una volta raggiunto il traguardo anagrafico sarà troppo bassa, lo Stato sposterà questo stesso traguardo un paio di anni più avanti. Con il risultato paradossale che i più “poveri”, presumibilmente i giovani di oggi con carriere contributive più frammentate, saranno costretti ad andare in pensione ancora più tardi.
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