Incrementano i casi di studenti con DSA – disturbi specifici dell’apprendimento – nelle scuole italiane. Nello specifico, sono disabilità legate ai Disturbi Evolutivi Specifici e interferiscono sull’apprendimento e sulla trasmissione del sapere. In Italia sono disabilità riconosciute come DSA dalla legge 8 ottobre 2010, nº 170 la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia.
Dall’approvazione di tale legge, nel nostro Paese si è riscontrato un aumento delle diagnosi di DSA di addirittura il 2,1% con punte maggiori al Nord, fino a sfiorare il 10% in Emilia Romagna. Tuttavia il fenomeno continua a essere sottostimato, soprattutto sul versante dell’insegnamento. Di fatto si pone un problema: come deve porsi l’insegnante di fronte bambini con difficoltà di questo genere?
Secondo Daniela Lucangeli, presidente dell’Associazione per il coordinamento nazionale degli insegnanti specializzati, professore ordinario di psicologia dello sviluppo dell’Università di Padova e membro dell’Accademia mondiale delle scienze, bisogna puntare tantissimo sulla formazione dell’insegnante e su apposite strategie da applicare su questo tipo di studenti, in modo da non abbandonarli al loro destino, infatti: “Il miglior aiuto è aiutarli. Gli errori non sono casuali; quando i bambini sbagliano lo fanno perché hanno elaborato in maniera non corrispondente la risposta che hanno dato; va analizzato l’errore, capire perché il bambino lo compie”. Infatti, nonostante la suddetta legge tuteli i ragazzini che presentino i DSA tramite certificazioni di diagnosi del disturbo e strumenti compensativi come la calcolatrice o i programmi di videoscrittura con correttore ortografico, è essenziale una squadra di insegnanti che sappiano ben disporsi nei loro confronti.
Tuttavia c’è chi ritiene che molte volte disturbi dell’apprendimento possano essere generati da un cattivo insegnamento: questi ultimi sarebbero infatti “falsi positivi” che si distinguerebbero dal DSA vero e proprio perchè non dipende tanto da un disturbo intrinseco allo studente, quanto appunto estrinseco. Bisogna non fare confusione tra una piccola difficoltà che può rientrare con un miglioramento della didattica e una disabilità vera e propria.
In ogni caso l’aumento delle diagnosi è evidente e secondo R. Ciambrone, dirigente dell’Ufficio IV della direzione generale dello studente del Miur: “Un fatto clinico quando entra a scuola diventa una questione educativa. Esperti, clinici, psicoterapeuti, neuropsichiatri dovrebbero sostenere il lavoro degli insegnanti sia fornendo elementi di conoscenza che spostandosi verso la didattica, per cercare di capire quale poi debba essere l’azione dell’insegnante”.
In Italia è stato tra l’altro avviato a: un approccio digitale integrato dalla Fondazione Telecom Italia in accordo con il Ministero della Salute, con il MIUR e in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, con l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e con l’Associazione Italiana Dislessia. Attraverso il portale e un’apposita App le famiglie potranno effettuare uno screening ultra-precoce e sarà possibile individuare presto i casi di bambini a rischio.