Vietato rifiutare il voto dopo un esame non andato come sperato. “Nel rifiuto non c’è nulla di pedagogico, anzi, è una perdita di tempo per i docenti e per gli studenti che rifacendo l’esame non migliorano la loro preparazione, piuttosto allungano la loro permanenza all’università, cosa che invece puntiamo a ridurre”.
È questa l’audace proposta di Massimiliano Barolo, docente di Ingegneria chimica e presidente della scuola di Ingegneria di Padova: a suo dire infatti la tendenza al rifiuto del voto rallenterebbe il percorso di studi e accentuerebbe la tendenza al ritardo della laurea.
Si tratterebbe dunque di una mossa in aiuto agli studenti al fine di far completare loro più brevemente il loro percorso o l’ennesima privazione di un diritto? Vero anche che, come rilevato anche dai dati Ocse, l’Italia è il paese con il numero più basso di laureati triennali e con una votazione mediamente più alta, il che dovrebbe confermare la tendenza a perseguire un voto di laurea più alto a discapito degli anni di “parcheggio” in università.
E allora che fare? Mentre da un lato si pone il dibattito tra voto di laurea più alto e minor tempo possibile al fine di trovar più facilmente lavoro, è innegabile che dall’altro stiano rischiando di venir meno i diritti degli studenti. Infatti già l’anno precedente tramite una ratifica del 14 gennaio 2015 di un Regolamento del 4 giugno 1938, il Consiglio Universitario Nazionale aveva ribadito il diniego di ripetere un esame superato, qualora se ne volesse migliorare l’esito.
E se risulta accettabile al limite la norma del Consiglio Universitario Nazionale, potrebbe invece apparire inammissibile agli studenti questa proposta del professor Barolo: negare di rifiutare il voto per migliorare l’esito di un esame andrebbe di fatto a limitare la libertà dello studente di incidere sul proprio voto di laurea e sul proprio percorso.