Documento in una mano, domanda di ammissione nell’altra, insieme ad altri 3.125 aspiranti medici per il giorno del giudizio: il temutissimo test d’ingresso per Medicina alla Statale (altri mille ci provano alla Bicocca). Ci siamo uniti agli studenti per vedere con i nostri occhi come funziona la prova, quanto siano regolari le procedure e se sia possibile copiare. Alle 8.30 c’è già la fila. Facce scure, concentrate. La maggior parte divorate dalla tensione.
In via Venezian c’è il primo blocco di studenti (668), dove siamo anche noi, gli altri sono divisi tra via Celoria (1.261) e via Golgi (1.192). Fuori dall’ingresso, un gruppetto di volantinatori del Cepu gira tra la folla e distribuisce numeri di telefono: «Se non passate l’esame, chiamateci». Si entra alla spicciolata, mettendosi in coda per le procedure di registrazione. Fila tutto abbastanza liscio, tranne quando qualcuno viene respinto perché non ha completato correttamente la richiesta online: «Fanno fede i registri, signorina – dice la funzionaria che presidia l’aula V7, quella delle informazioni, a una ragazza che non potrà fare il test – se il suo nome non è qui, non posso farci nulla».
Una volta entrati in aula, comincia a salire la tensione. La stanza in cui siamo finiti è la V1, che dividiamo con altri 198. Siamo divisi per età e qui ci sono gli ‘anziani’ (il più vecchio è del 1952). Per molti di loro non è la prima volta. Alcuni sono iscritti ad altre facoltà, soprattutto a Biologia («è il corso che ti convalida più esami una volta che sei passato»). Altri invece provano a cambiare vita, a volte anche lasciandosi alle spalle un lavoro sicuro per inseguire il proprio sogno. Come una signora di origini brasiliane – intorno ai cinquant’anni – stufa di fare l’ingegnere: «Vorrei diventare una veterinaria. Ma mi sono iscritta anche a questo test che non si sa mai». A preoccupare gli studenti sono soprattutto le domande di cultura generale, ritenute una specie di terno al lotto.
Intorno alle 10.35 arrivano i commissari. Sono sette e sembrano molto agguerriti. La prima cosa di cui si occupano è quella di ‘terrorizzare’ tutti. Vietato copiare, niente bigliettini, zero cellulari. Pena, l’annullamento dell’esame. In realtà, una volta dato il via, la stretta si allenta. Eludere l’obbligo dei telefonini è piuttosto semplice, perché nessuno controlla: noi lo abbiamo tenuto tutto il tempo in tasca. Anche gli appunti, accuratamente nascosti sotto il banco, sfuggono facilmente alla blanda censura dei commissari. Più difficile è invece ‘ispirarsi’ a quello che fa il compagno di fianco, perché le domande sebbene tutte uguali, sono in ordine diverso in ciascun test, così come le risposte. Ma basta attendere che il controllore si giri un attimo per riuscire a parlarsi sottovoce. I pochi ‘beccati’ non vengono puniti con l’annullamento della prova, ma solo spostati di qualche postazione.
Il momento migliore per cercare un ‘aiutino’ è quando ci si avvicina alla fine delle due ore concesse. In quegli attimi, i commissari sono distratti e il tono di voce nell’aula si alza. La disposizione – decisa prima dell’inizio – aiuta: si sta uno accanto all’altro, con una fila di banchi libera ogni due. Insieme alla nostra vicina riusciamo a controllare una decina di risposte e a fare le opportune correzioni. Poi arriva lo stop e il momento in cui si ritirano le penne. In teoria, si dovrebbe rimanere con i fogli sul banco in attesa che tutti consegnino – uno alla volta – senza poter scrivere più niente. Ma anche qui, basta nascondersi una biro sotto il banco e gettare un occhio attento: cambiare due o tre risposte dopo l’ennesimo consulto è facilissimo. Le procedure per la chiusura della busta, invece, sono molto rigorose e precise. Un ultimo controllo al documento di identità prima di consegnare e via, liberi — anzi obbligati — a uscire. Rimane solo da attendere i risultati, tra qualche giorno, sul sito del Miur. Uno su sette ce la farà.