Pantera, Cari mostri e passione per l’horror, intervista all’illustratore Luca Ralli

Per scrivere occorre essere visionari e percorrere il mondo reale attraverso strade appartenenti a luoghi immaginari. Ogni frase diventa la scala di un antico palazzo che si muove portandoci in rampe diverse e in piani sconosciuti, non lasciandoci la possibilità di fermare questo movimento vorticoso. Lo stesso accade quando si disegna. L’atto della creazione non può esistere se non ci si affida a un mondo diverso dalla realtà e, quindi, immaginario. Quando prendiamo in mano “Pantera” o “Cari mostri”, entrambi di Stefano Benni ed editi da Feltrinelli, ci troviamo di fronte non solo a delle storie, ma anche a delle illustrazioni che hanno l’aria di un sogno e ci si chiede “Dov’è il possibile? E dove l’impossibile?”. Non si riesce più a distinguere la realtà tangibile da quella che Luca Ralli illustra. Realtà o sogno? Verità o illusione? Cosa sono quelle parole che diventano immagini e cosa le immagini nate da quelle parole? Sembrerebbe che la fantasia si mescoli al fantastico attraverso la manifestazione, improvvisa, di uomini che irrompono nell’ordinario sconvolgendolo. Le sue immagini mostrano il meraviglioso e l’accettazione di questo, perché non è vero che solo in sogno possiamo incontrarlo. Attraverso le parole e le immagini potremo raggiungere quella che ci sembra una visione e intrecciarla alla realtà dei giorni che viviamo.

Luca Ralli ci parla del suo lavoro e della sua fantasia, ma una domanda continua a riecheggiare nella mia mente: Se Luca avesse illustrato interamente Cari mostri cosa sarebbe accaduto?

1. Chi è Luca Ralli?

«Complicato. Da dire, da definire. Odio le definizioni. Dovendolo proprio fare, probabilmente mi definirei un disegnatore. Uno che cerca di raccontare storie disegnando…».

2. Il tuo stile quali particolari influenze ha avuto? E i tuoi maestri di riferimento chi sono?

«Influenze e maestri… a chili. Molte nemmeno le conosco. A livello conscio, intendo. Stilisticamente mi muovo su troppe cose diverse e, spesso, pesco a caso fra quello che vedo, che leggo, che mi colpisce… tra i maestri dovrei citare per forza Mattotti e Muñoz e anche Alberto Breccia; ma in realtà tutto il fumetto che ho letto e che mi ha comunque influenzato, poco o tanto, in tutto il mio lavoro. Intendendo però il tratteggio ossessivo, che è poi lo stile che sto usando nei miei ultimi lavori, sicuramente Edward Gorey, ma anche tutti gli illustratori dell’ottocento, da Doré a quelli sconosciuti della cronaca nera dei giornali dell’epoca (che sono in realtà i miei preferiti, proprio perché “sconosciuti” e stilisticamente meno ricercati; più “sporchi” in qualche modo). Molti altri, ripeto, sono quelli che continuano a influenzarmi, via via che li leggo o li rileggo (e questo che io ne sia cosciente o meno): da Sfarr e Blain a amici come Marco Corona».

3. Quando è nata questa tua passione? Ricordi la prima cosa che hai rappresentato?

«Sul quando, direi da sempre… nel senso che ho imparato a leggere prima dei cinque anni sulle pagine di Topolino. La prima cosa che ho rappresentato non la ricordo, ma da piccolo adoravo disegnare grandi battaglie di indiani e cowboy…».

4. Cosa fai quando non disegni?

«Per lo più penso a quello che disegnerò dopo. No, non sempre… però quasi».

5. Nel tuo studio, quando lavori, cosa non può mancare?

«A parte le sigarette? Musica».

6. Illustrare un libro e dare vita a un fumetto significa accostarsi a due realtà differenti. Ne prediligi una in particolare?

«No. Cioè: io lavoro molto anche con la pubblicità (più che con l’editoria, in realtà), e faccio animazioni… fondamentalmente sono contento di disegnare (ancora mi stupisco, a volte, che mi paghino per farlo). Non ho una particolare predilezione per. Se dovessi scegliere, forse sceglierei il fumetto, principalmente per passione… ma in realtà è anche quello più difficile, quello meno pagato e quello su cui sono più insicuro. Forse perché è quello che ho avuto meno modo di fare, di sviluppare. E forse lo sceglierei più che altro per questo…».

7.Tra te e Stefano Benni è nata una forte amicizia e, anche, una grande collaborazione lavorativa. Quando vi siete incontrati per la prima volta?

«Boh… tipo sei-sette anni fa? In realtà me lo sono trovato in casa quasi per sbaglio (una comune amica bolognese è venuta a casa mia per un aperitivo e visto che dopo doveva andare a cena con lui… si sono presentati insieme). Lì ho scoperto che abitavamo vicini, a Trastevere, e abbiamo cominciato a incontrarci e a frequentarci. Poi il figlio di Stefano è venuto ad abitare nell’appartamento sotto il mio e alla fine erano entrambi sempre lì…».

8. Hai dato vita al volto di Pantera. Per tracciarlo hai seguito solo la descrizione che Benni ha fatto nel suo libro o le hai attribuito dei particolari che ti sono venuti in mente quando l’hai immaginata per la prima volta?

«Non lo so più. Ne abbiamo parlato talmente tanto con Stefano, che sinceramente non ho idea da dove sia uscita fuori… non è stato semplicissimo trovare il volto di Pantera. Ci abbiamo anche discusso non poco. Comunque entrambi avevamo in mente Valentina di Crepax, e Louise Brooks. In realtà credo che anche Crepax avesse in mente Louise Brooks…».

9. È da poco uscito Cari mostri e la copertina porta la tua firma. Oltre alle pagine del libro, dove hai trovato ispirazione per una copertina così “visionaria”, fantastica e dai tratti horror?

«L’horror è la mia prima passione, filmica e letteraria. Diciamo che è stata piuttosto facile, per me, questa copertina. L’ispirazione viene direttamente dall’espressionismo tedesco (ci sono le ombre del “nosferatu” di Murnau e le strade del “gabinetto del dottor Caligari” di Wiene), ma non ci ho dovuto nemmeno pensare: mentre mi parlava dell’ipotesi di fare la copertina – stavamo davvero ancora al telefono – io già me la vedevo così. Gliel’ho descritta in diretta telefonica. Giuro».

10. Il tuo prossimo lavoro, potresti anticiparci qualcosa?

«No. No davvero: ne stiamo parlando proprio in questi giorni e va presa una decisione tipo entro la prossima settimana. Non posso dire niente. Se non altro per scaramanzia… Riparliamone dopo le vacanze».

 

Agrippina Alessandra Novella

Classe '92 . “Caffè, libri e tetris di parole”, ha definito la vita così, perché sono queste le tre cose che non devono mai mancarle. Legge da quando ha scoperto che i libri le fanno vivere più vite e sin da piccola scrive ovunque, perché le cose quando si scrivono rimangono. Cresciuta a Mineo è rimasta affascinata dagli scrittori che ivi hanno avuto i natali: Paolo Maura, Luigi Capuana e Giuseppe Bonaviri. Laureata in Lettere Classiche, presso l’Università di Catania, attualmente studia Italianistica all'Alma Mater di Bologna. Redattrice e proofreader per LiveUniCT e membro FAI.

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Agrippina Alessandra Novella

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