“Ho fatto una cazzata”, “Mi hanno cazziato” sono alcuni esempi di linguaggio gergale ormai entrati nell’uso comune. Ma la loro presenza nei vocabolari è storia recente ed include latinismi e regionalismi.
I dizionari. Tranne il Treccani 2014 che inserisce “cazziare” esclusivamente come sinonimo popolare di “sgridare”, tutti i dizionari dell’italiano contemporaneo lo accolgono con l’accezione di “rimproverare duramente”, così il GRADIT 1999, il Devoto Oli 2002-2003, il Sabatini-Coletti 2008 e lo ZINGARELLI (solo dal 2014 però). Per tutti è un regionalismo di area meridionale, mentre per il GARZANTI 2003 è decisamente volgare, senza indicarne una precisa origine geografica. Curiosamente, i sostantivi cazziata e cazziatone sono invece inclusi in diversi dizionari già dagli anni ’80, come neologismi.
L’origine. Ma da dove vengono? È il dialetto napoletano a spuntarla sull’origine; infatti già nei vocabolari ottocenteschi sono registrati “cazziare, cazzià” nel senso di “infuriarsi” e quindi analogamente ad “incazzarsi”. Eppure, oggi, il “cazziare” riversa l’azione su altri.
Cosa ne pensa l’Accademia della Crusca dell’origine di questi termini usati giornalmente da giovani e non?
“A nostro avviso, l’uso di cazziare per ‘rimproverare’ trae invece origine da una metafora sessuale: il meridionale cazzià(re) è infatti un verbo formato da cazzo (‘membro virile’) più il suffisso iterativo-intensivo -ià(re) (lo stesso di mazziare ‘colpire, picchiare’, da mazza; paccariare ‘schiaffeggiare’, da paccaro ‘schiaffo’; ecc.); si parte quindi da un significato concreto, ovvero ‘possedere sessualmente (in modo rude, con violenza)’, che scivola naturalmente in un traslato di tono volgare ‘trattare, sgridare rudemente qualcuno’.”
Curiosità. Il LEI (Lessico etimologico italiano) riconduce il verbo “cazziare” al siciliano “cazziäri” (fare l’amore). Invece, il vocabolario napoletano di Emmanuele Rocco glossa la parola “cazzata” in latino (è un eufemismo per pudore probabilmente): “Penis ictus et intromissio”. La “cazziata” potrebbe esserne la variante frequentativa.
L’uso. Superati i confini regionali, questi vocaboli sono ormai di uso comune anche in contesti non puramente colloquiali. La Crusca ricorda quando Matteo Renzi (allora sindaco di Firenze), rilasciando un’intervista nel 2013 a Fabio Volo, sottolineò come Giorgio Napolitano non lo avesse “cazziato” sulle questioni dell’amnistia e della legge elettorale.
In ogni caso “cazziare” aveva già trovato il suo posto nella letteratura odierna. Dal romanzo Elianto (1996) dello scrittore bolognese Stefano Benni, il Grande Dizionario della Lingua Italiana ha tratto l’esempio da includere nel Supplemento del 2004: “Cazziò duramente gli agenti della scorta che, gialli come limoni, vomitavano fuori dagli appositi spazi“.
La diffusione nazionale di cazziare, cazziata e cazziatone è stata dovuta all’ormai abolito servizio di leva, quando nelle caserme si incontravano ragazzi di regioni e dialetti diversi. Già la prima guerra mondiale è considerata per filologi e italianisti il primo momento di incontro tra gli italiani e i loro dialetti. Come scritto in un articolo del 1967 di Lorenzo Renzi, la lingua di caserma ha nel suo catalogo di parole: “scansafatiche” o “ puttanata” e l’autore osserva: «Cazziatone ha sostituito quasi del tutto il vecchio cicchetto, che ha il vantaggio di essere parole “pulita” e perciò è ancora d’obbligo in certe occasioni».
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