Continua a crescere la censura e la repressione della liberà di parola in Turchia. Dopo il tentativo di golpe sventato quest’estate, il presidente Erdogan ha adottato delle misure di sicurezza per la salvaguardia dello Stato, stringendo il Paese in una morsa. Gli ultimi ad essere stati coinvolti da questa ondata di repressioni sono stati alcuni dei professori delle maggiori università turche.
La repressione politica adottata da Erdogan continua senza sosta, e dopo aver colpito alcuni giornalisti e scrittori, molti dei quali arrestati, adesso nel mirino ci sono anche i professori universitari. Con un decreto legge emanato dalla presidenza sono stati espulsi ben 330 accademici turchi, licenziati nei primi giorni di febbraio. Il motivo di questa espulsione immediata e inaspettata è stata spiegata con l’accusa pretestuosa rivolta ai professori di essere sospettati di appartenere a organizzazioni terroristiche. In realtà, il motivo dell’espulsione è dovuta alla sottoscrizione da parte degli accademici di una petizione intitolata “Non saremo complici di questo crimine”, che si oppone alla sanguinosa spedizione militare dell’esercito turco nelle città curde del sudest del paese.
Rei di aver firmato una petizione per la pace, di aver espresso liberamente il proprio pensiero, licenziati su due piedi, in maniera arbitraria i professori espulsi dall’Università di Ankara al parco di Kugul ed affermano che continueranno ad insegnare, organizzando lezioni pubbliche proprio nel parco.
Le accuse mosse agli accademici turchi di appartenere alla setta di Gulen, pur essendo infondate perché spesso si basano su segnalazioni anonime e dicerie inattendibili, vengono abilmente strumentalizzate ed utilizzate come pretesto per fare fuori coloro che esprimono il proprio dissenso verso la politica del presidente Erdogan.
Egli, infatti, ha varato una riforma costituzionale che verrà messa al voto il 16 aprile 2017. Qualora questa riforma passasse, la Turchia diverrebbe una repubblica presidenziale, permettendo al presidente di rimanere al potere fino al 2029.
“Elemento fondante di qualsiasi democrazia è quello della divisione dei poteri, mentre con la riforma il presidente concentrerebbe l’esecutivo, il legislativo e il giudiziario nelle proprie mani”, spiega Demirkent, uno dei professori espulsi ed esperto di legge costituzionale. “Erdogan spadroneggia in maniera incontrastata da anni, ma la riforma legittimerebbe in maniera definitiva questa deriva fascista”.