Il presidio dell’Ospedale “Gravina” di Caltagirone ha avuto modo, nelle ultime settimane, di riconfermarsi come uno dei fiori all’occhiello non soltanto della sanità calatina bensì dell’intera Regione.
Il reparto di Cardiologia del nosocomio ha visto, difatti, la realizzazione di un delicatissimo intervento di angioplastica su un paziente di 77 anni affetto da aneurisma coronarico, una rara patologia dalle percentuali di riscontro davvero irrisorie – tra lo 0,5% ed il 4,9% – nei pazienti sottoposti a coronarografia. Nel caso in questione, la scoperta è invece prontamente arrivata dall’U.O.C. di Radiodiagnostica, grazie ad un attento esame con Angio-Pet (o Cardio-TC).
Ad eseguire la complessa operazione salvavita, l’emodinamista catanese Daniele Giannotta, già direttore dell’Unità Operativa, il quale ha gentilmente raccontato a LiveUniCT la sua esperienza in prima linea, nel corso di un’esclusiva ed illuminante intervista.
L’operazione
“Nel caso specifico, l’aneurisma coronarico era nel contesto di una biforcazione da cui nascono due vasi sanguigni. Adottare un’altra tecnica – ci spiega il dottor Giannotta – avrebbe significato chiudere uno dei due vasi, creando però un infarto che il paziente non avrebbe superato […] Ho deciso dunque di fare un intervento utilizzando degli stents particolari, in PTFE (un materiale dalle caratteristiche simili a quello delle mute per immersione subacquea), che consentono di escludere l’aneurisma, conservando il lume centrale dei due vasi, cioè il ramo diagonale e la discendente anteriore”.
Si è trattato dunque di un’operazione dall’alto coefficiente di difficoltà, ci conferma l’emodinamista, dato sia dalla rarità della patologia che dalle peculiarità presentate dal paziente. Come descritto nel rapporto post-operatorio, nell’uomo di 77 anni si notavano in effetti un’origine anomala dei vasi sanguigni ed un’alterata anatomia patologica: “[…] viste le caratteristiche di questo paziente e non potendo chiudere né l’uno né l’altro vaso, con gli stents ho creato una discendente anteriore a doppia uscita, l’unica possibile via da percorrere”.
Il successo dell’intervento è dunque palese. Il dottor Giannotta, però, dimostra di avere a cuore anche il rapporto umano medico-paziente, precisando: “Dopo il recupero velocissimo del paziente, nonostante la gravità della malattia, continueremo a monitorarlo grazie alla terapia triplice antiaggregante, che gli consentirà di vivere serenamente”.
Il medico ci rivela inoltre di aver incontrato, nel corso della sua carriera, un solo altro paziente colpito dalla stessa patologia: “Ne ho incontrato uno nel 2003 e questo paziente fu affidato semplicemente a terapia medica, anticoagulante, perché all’epoca la Cardiochirurgia non voleva ovviamente operare”, dati gli enormi rischi a cui si sarebbe andati incontro procedendo con un’operazione. L’avanzamento tecnologico in campo medico è quindi imprescindibile per l’approccio a questi malati.
Un approccio, quello del dottor Giannotta, da cui si può evincere molto, soprattutto sul piano etico, ascoltando diverse considerazioni: “[…] ogni caso ha la sua particolarità ed ogni volta devi scendere in campo, con tutto il tuo sapere, per costruire la strategia da utilizzare: come un sarto che cuce addosso l’abito, lo stesso bisogna fare col paziente”.
Le esperienze del 2019
Già nel 2019, il dottor Giannotta e la sua équipe di emodinamisti avevano portato a compimento altri due importanti interventi, l’uno a distanza di pochi mesi dall’altro. All’epoca, per il trattamento di entrambi i pazienti – un uomo di 61 anni ed una giovane donna di 34 anni – era stato necessario affidarsi all’uso dell’ECMO (Ossigenazione extra-corporea a membrana), una tecnologia che, seppur datata (nasce infatti intorno agli anni ’70), è in grado di sopperire alle funzioni vitali di cuore e polmoni di malati con insufficienze cardiache e/o respiratorie. In base alla sua esperienza, l’emodinamista ci spiega com’è cambiata la visione sull’utilizzo di questo presidio, in seguito all’avvento della pandemia da Coronavirus.
“In precedenza, l’utilizzo dell’ECMO era stato sempre confinato ad interventi chirurgici o su pazienti in attesa di trapianto cardiaco” – ci informa il medico, per poi aggiungere – “ma, durante la fase Covid-19, c’è stato un utilizzo enorme di questa tecnologia e l’Ospedale Gravina di Caltagirone ha dato indubbiamente il via a questo processo, specialmente nell’ambito dell’emodinamica.”
La condizione attuale della sanità e la ricerca nel futuro
Negli anni precedenti, sono state svariate le manifestazioni di protesta in merito alla situazione emergenziale che, tutt’oggi, colpisce ancora l’Azienda ospedaliera di Caltagirone. Una cronica carenza di personale, con pesanti ripercussioni su tanti reparti – anche proprio quello di Emodinamica, di cui il dott. Giannotta è direttore – aveva infatti aperto la strada a tante richieste di interventi significativi, rivolte all’Assessorato alla Salute della Regione Siciliana.
LiveUniCT ha voluto approfondire la questione con l’emodinamista, che ha dato spazio ai propri pensieri: “Nonostante le difficoltà anche economiche, nonostante il personale dell’Ospedale Gravina di Caltagirone sia stanco, ed io personalmente sia in ospedale da 15 giorni” – risponde sinceramente il dott. Giannotta – “siamo riusciti a fare una buona sanità ed il successo di questo intervento ne è la prova”. Parole che non nascondono una certa amarezza ma nemmeno l’orgoglio per il lavoro svolto, da lui e dai suoi specialisti.
In merito alle condizioni del personale sanitario italiano in questo post-pandemia, il dottore Daniele Giannotta risponde: “Dopo il Covid, siamo stati dimenticati. I medici e gli infermieri italiani sono i meno pagati: non è possibile che, ad oggi, un OSS italiano guadagni 800 euro al mese o che un medico, uno specialista, guadagni 2.500 euro… Questo è uno dei motivi per cui il personale medico preferisce accettare offerte di lavoro all’estero.”
Per concludere, sul futuro della ricerca scientifica nel nostro Paese, il dottore Giannotta dichiara, parlando a cuore aperto: “Purtroppo, ci sono dei dati negativi ed io ho paura per il nostro futuro in quest’ambito. La strategia dell’Italia, al momento, è quella di acquistare dall’estero un prodotto (umano e tecnologico) già fatto, confezionato. Non si investe nella formazione di giovani italiani; però sono comunque loro che dovranno andare a fare ricerca”.
Non possiamo che augurarci che valga ciò che Ippocrate recitava nei suoi Precetti ossia, “Se c’è amore per l’uomo, ci sarà anche amore per la scienza”.