Nel corso di questi ultimi dodici mesi, l’emergenza sanitaria ha inevitabilmente spinto esperti, istituzioni e comuni cittadini a porre attenzione su alcune tematiche e ad accantonarne altre. Domina, per esempio, il silenzio quando occorre trattare dell’esistenza delle persone con disabilità. Eppure, queste vite traballano più di altre a causa di limitazioni vigenti e vaccinazioni mancate. LiveUnict ha chiesto a Cristina D’Antrassi, Presidente di Anffas (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) Catania di dar voce a malesseri e bisogni di queste persone.
Vita di una persona con disabilità dopo il Coronavirus
Le persone più fragili vivono sulla propria pelle gli effetti della pandemia, al pari o forse più di chiunque altro. Ciò significa che anche loro sono tenuti a rispettare delle regole al fine di salvaguardare la propria salute e quella di chi gli sta intorno. Basti pensare, per esempio, che l’uso della mascherina è genericamente obbligatoria, eccezion fatta per “le persone la cui disabilità è incompatibile con l’utilizzo della stessa”: è quanto si legge anche all’interno del sito del Governo italiano.
Ma se è vero che le persone con disabilità sono soggette ad obblighi e doveri comuni, perché risulta così complesso accettare che anche queste persone provino paura e desiderino riacquistare la libertà negata?
“Con l’avvento della pandemia, la vita delle persone con disabilità è sicuramente cambiata. Noi abbiamo un centro di riabilitazione che è un appartamento in cui un gruppo di giovani ha iniziato l’esperienza della convivenza. Ancora oggi, per via delle norme anti-Covid, questi ragazzi non possono ricevere visite dai familiari o uscire, se non per una visita riabilitativa – esordisce così la Presidente di Anffas Catania, Cristina D’Antrassi – . Uso una parola forte: è uno stato di segregazione per loro. Per tutte le persone che vivono in appartamenti o strutture residenziali, purtroppo, esistono troppe restrizioni. È chiaro che si tratta di una difesa nei loro confronti ma abbiamo come l’impressione che i politici si siano un po’ dimenticati di loro.
D’altro canto – puntualizza la donna – , abbiamo persone che esprimono liberamente la loro volontà di entrare in un centro di riabilitazione ma il genitore, per paura che il Covid possa penetrare in famiglia, preferisce non farli uscire di casa. Eppure per loro quello è un luogo di incontro e inclusione. In questi tempi è difficile la gestione. Se i ragazzi vivono in strutture in cui è possibile integrare l’aspetto della socializzazione con tutte le precauzioni richieste va tutto bene, altrimenti si ritrovano chiusi in casa”.
Isolamento, quarantena e ospedalizzazione per le persone disabili
Quanti, poi, hanno mai riflettuto su come un soggetto affetto da disabilità possa vivere una quarantena domiciliare o un isolamento dovuti al Coronavirus? Forse il documento delle Regione Siciliana con oggetto le linee di indirizzo operative per la gestione di pazienti con disabilità potrebbe aiutare a chiarire alcuni dubbi.
Di fatto, all’interno di questo testo, si esplicita che soltanto per le persone ‘non collaboranti” poste in isolamento presso le strutture residenziali nelle quali sono ospitate, si deve permettere la presenza di un familiare o del caregiver che ne faccia richiesta, nei casi in cui il paziente non sia in grado di accettare, o comprendere il motivo di tale isolamento.
Inoltre, come specificato anche da Cristina D’Antrassi, fino a qualche settimana fa non esisteva nemmeno la possibilità per loro di essere accompagnati in caso di ricovero per Covid negli ospedali. Soltanto in seguito ad un tragico evento, lo scorso 9 febbraio è stato firmato al Policlinico “G.Rodolico-San Marco” un protocollo d’intesa volto a regolamentare l’assistenza ai pazienti con disabilità intellettiva. Questo, poi esteso dalla Regione a tutti gli ospedali dell’Isola, prevede che “su richiesta della famiglia si possa autorizzare l’accesso di un familiare in ospedale al fine di assistere”.
“Qui a Catania si è verificato un caso che ha creato scalpore: una ragazza down è morta a causa del Covid e prima del decesso chiedeva della madre: non hanno fatto entrare né quest’ultima né la sorella – spiega la Presidente di Anffas Catania – . Probabilmente questa persona, sentendosi abbandonata, ha come rifiutato le cure. Va ricordato, di fatto, che queste persone non sempre riescono a capire il contesto e, in certi casi, si sentono privi di riferimenti. È già pesante per chi non è affetto da disabilità essere ricoverato e non vedere nessuno, si pensi per una persona che magari non comprende bene nemmeno cosa stia succedendo”.
Il nodo vaccinazioni
Soltanto lo scorso 1 marzo, per mezzo di una direttiva dell’Assessore regionale alla Salute Ruggero Razza inviata ai direttori delle Asp siciliane, venivano coinvolti nella campagna vaccinale i soggetti disabili, ma non tutti. Di fatto, al momento le Aziende sanitarie provinciali hanno il compito di contattare soltanto gli 11 mila affetti da forme di disabilità “gravissime”. Eppure, i rischi sarebberO altissimi anche per gli altri.
“Le persone con disabilità forse avrebbero dovuto avere priorità su tutti – indica la Presidente di Anffas Catania – Eppure, a Catania sono stati vaccinati ragazzi del secondo o terzo anno di Medicina e Chirurgia ma non questi soggetti.
A livello nazionale ci avevano promesso che le persone con disabilità sarebbero state vaccinate appena dopo gli ottantenni – continua – . Da una recente disposizione a livello regionale, sembrerebbe che presto si inizierà con le vaccinazioni ma solo per i disabili gravissimi, ovvero per quelli che percepiscono l’assegno di cura. Soltanto in seconda battuta, toccherà agli altri disabili.
Ciò ha scatenato una ribellione all’interno del mondo della disabilità e innescato una sorta di guerra tra poveri. La persona che non ha assegno di cura ma magari presenta una disabilità non rientra in questa prima fase e non sa quando sarà il suo turno. La vaccinazione avrebbe sicuramente aiutato le persone con disabilità a riprendere una vita normale. Io sono una sorella e sarei sicuramente più serena nel farlo uscire e frequentare altri posti”.
Il lavoro degli operatori
Agli operatori spetta, dunque, un triplice e complesso compito: placare eventuali reazioni, evitare che le disposizioni non intacchino la salute psicofisica dei ragazzi e accorciare la distanza tra questi e le rispettive famiglie.
“Noi all’interno del nostro appartamento, soprattutto nel corso della prima fase del lockdown, temevamo che otto persone che vivono così tutti i giorni potessero reagire per via di una tipologia completamente nuova di esistenza, però, probabilmente grazie agli operatori, i risultati sono stati ottimi – racconta, infine, Cristina D’Antrassi a LiveUnict – . I ragazzi, per fortuna, non hanno avuto alcuna ripercussione a livello psichico. Desideravano, però, vedere e riabbracciare i loro parenti. Abbiamo tentato di rimediare con le videochiamate ma per loro non era la stessa cosa. Ancora oggi, per esempio, alcuni di loro mi chiedono se sia possibile pranzare a casa del fratello che è qualcosa che prima accadeva la domenica. Purtroppo, per ora, dobbiamo dire di no”.
Anffas ed altre associazioni sanno bene che sottolineare quanta poca importanza sia stata riservata ai bisogni dei disabili non basta: occorre agire, concretamente e con ogni mezzo utile, con lo scopo di proteggere comprendendo ed alleviando, al tempo stesso, i disagi dilaganti tra i disabili. Un pensiero è poi riservato ai loro cari.
“Sicuramente diamo priorità assoluta a qualsiasi forma di difesa: anche all’interno delle strutture i ragazzi vengono dotati di mascherina e gel disinfettate e loro stessi sono molto attenti. Dopo aver spiegato loro la situazione, hanno capito. È chiaro, però, che non tutti sono nella condizione di poter tenere una mascherina per ore né di capire per quanto tempo occorre tenerla – ha concluso Cristina D’Antrassi – . Come associazione, inoltre, abbiamo attivato delle forme di teleassistenza a distanza e supporto psicologico alle famiglie“.